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Il concorrente deve produrre la dichiarazione ex art. 38 D. LGS. 163/2006 anche se non ha pregiudizi da dichiarare

13 Dic 2012
13 Dicembre 2012

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 4 dicembre 2012 n. 1469, sancisce l’obbligo da parte del partecipante ad una gara pubblica di fornire sempre la dichiarazione sostitutiva attestante i requisiti previsti dall’art. 38 D. Lgs. 163/2006, non condividendo la tesi di parte resistente secondo cui l’omessa dichiarazione è da ritenersi irrilevante atteso che la comunicazione richiesta nel bando doveva riguardare i pregiudizi effettivamente esistenti in capo al concorrente e non la dichiarazione di assenza di situazioni pregiudizievoli: “Ritiene il Collegio che la previsione indicata dalla lex specialis circa la dichiarazione dei partecipanti di non trovarsi in alcuna situazione pregiudizievole indicata dall’art. 38 cit., non ha una mera valenza formale in quanto, da un lato facilita la stazione appaltante a riconoscere, subito, che i concorrenti difettano di pregiudizi penali e di prevenzione, dall’altro costituisce una remora, per i soggetti pregiudicati, dal partecipare alla gara.

Ritenere di converso che il concorrente possa e debba presentare l’indicata dichiarazione esclusivamente nella ipotesi di positiva esistenza di sfavorevoli precedenti, costituisce una interpretazione sostanzialistica della norma citata che, inoltre, contrasta con la lex concorsualis predisposta dalla stessa stazione appaltante.

Inoltre, nel caso di specie, l’omessa dichiarazione esclude che possa parlarsi di falso innocuo, che, a tutto voler concedere, può eventualmente configurarsi in caso di dichiarazione mendace o inesatta.

Il pacifico e costante insegnamento giurisprudenziale, che il Collegio non ha motivo di disattendere, individua, nella prevista dichiarazione, un aspetto essenziale ed imprescindibile della regolarità dell’offerta: “…Nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente – secondo i principi di buon andamento dell'amministrazione e di proporzionalità - la celere decisione sull'ammissione dei soggetti giuridici alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile (anche perché solo incompleta) è da considerare già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara. In materia di appalti occorre invero poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara o alla sua esclusione. La dichiarazione ex art. 38 del d. lgs. n. 163/2006 è quindi sempre utile perché l'Amministrazione sulla base di quella decide in merito alla legittima ammissione alla gara …” ( Cons. St., sez. V, 8 novembre 2012, n. 5693)”.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Veneto, 1469 del 2012

Riequilibrio tra uomini e donne nei consigli e nelle giunte degli enti locali, nei consigli regionali e nelle commissioni di concorso

13 Dic 2012
13 Dicembre 2012

Sulla Gazzetta Ufficiale del 12 dicembre 2012 è stata pubblicata la LEGGE 23 novembre 2012 , n. 215, recante "Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunita' nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni. (12G0237)".

Legge 23.11.2012 n. 215

L’ascensore esterno non è una “costruzione” ex art. 873 del codice civile e non si applica l’art. 79, comma 2, del DPR 380/2001

12 Dic 2012
12 Dicembre 2012

Una signora con problemi di deambulazione ha chiesto di realizzare un ascensore esterno. La richiesta è stata respinta, perchè,  secondo il Comune, all’intervento osterebbe il disposto dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, a mente del quale in tema di realizzazione di opere finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche – e facendo eccezione all’ordinario regime di deroga alle norme sulle distanze – “è fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune”.

Il T.A.R. dell’Abruzzo,  con la sentenza n. 87 del 24 febbraio 2012, ha respinto il ricorso proposto dall'interessata avverso il diniego, evidenziando:

- che la tutela della salute e della vita di relazione dei soggetti portatori di handicap, pur rappresentando un valore di primaria importanza, non è assoluta e incondizionata, ma può subire limitazioni in ragione della tutela di valori di pari rilevanza;

- che, in particolare, il comma 2 dell’art. 79 testé citato dimostrerebbe che, a fronte di un’ordinaria prevalenza delle ragioni del portatore di handicap sugli interessi eventualmente contrastanti dei soggetti residenti nel medesimo edificio, non altrettanto potrebbe dirsi per gli immobili limitrofi, laddove il legislatore avrebbe ritenuto di assegnare prevalenza al loro diritto alla salute in funzione del quale risulta posta la norma di cui all’art. 873 cod. civ. (la cui ratio, come è noto, è quella di evitare la creazione di intercapedini dannose o pericolose);

- che nella specie, premesso che la realizzazione dell’ascensore avrebbe comportato il mancato rispetto della distanza minima di tre metri dal fabbricato confinante, non vi sarebbe spazio alcuno per un’applicazione dell’eccezione prevista dall’ultima parte della disposizione, atteso che fra i due immobili esiste sì un cortile, ma tale cortile non risulta essere in comproprietà fra di essi né risulta l’esistenza di servitù di passaggio comune.

Il Consiglio di Stato, però, ha deciso in senso opposto, con la sentenza n. 6253 del 2012, scrivendo che:

"Innanzi tutto, il Collegio reputa fondato il primo motivo di appello nella parte in cui si sostiene l’estraneità dell’ascensore oggetto della richiesta di permesso di costruire alla nozione di “costruzione” di cui all’art. 873 cod. civ., e quindi l’inapplicabilità ad esso delle disposizioni in tema di distanze dallo stesso poste.

Ed invero, alla stregua della giurisprudenza più recente l’impianto di ascensore – al pari di quelli serventi alle condotte idriche, termiche etc. dell’edificio principale – rientra fra i volumi tecnici o impianti tecnologici strumentali alle esigenze tecnico-funzionali dell’immobile (cfr. Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 2011, nr. 2566).

4. Ma, anche al di là di quanto sopra, appare condivisibile l’impostazione sviluppata nel secondo mezzo, secondo cui, nell’interpretazione dell’eccezione alla regola del rispetto delle distanze posta dall’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001, non può prescindersi dal tener conto dell’inserimento della norma – come già rilevato - all’interno della disciplina volta all’eliminazione delle barriere architettoniche nell’interesse dei soggetti portatori di handicap.

Ciò rileva non solo e non tanto ai fini di un astratto bilanciamento di interessi, come quello cui ha proceduto il primo giudice (e al quale gli odierni appellanti, soprattutto col terzo mezzo, contrappongono un opposto bilanciamento), quanto soprattutto nell’accezione da dare a locuzioni ed espressioni tecniche impiegate dal legislatore, quali quella di “spazio o area di proprietà o di uso comune”, le quali non possono essere recepite in un’ottica strettamente civilistica, ma vanno calate nell’ambito della normativa tecnica esistente in subiecta materia.

Sotto tale profilo, soccorre il d.m. 14 giugno 1989, nr. 236, contenente la normativa regolamentare a suo tempo adottata in attuazione della legge 9 gennaio 1989, nr. 13, e che ancora oggi costituisce il riferimento dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001 (nel quale la predetta legge è confluita).

L’art. 2 del citato decreto contiene una serie di definizioni tecniche utili all’applicazione della normativa de qua e, in particolare, qualifica come “spazio esterno (...) l’insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici” (lett. F) e come “parti comuni dell’edificio (...) quelle unità ambientali che servono o che connettono funzionalmente più unità immobiliari” (lett. E).

Applicando tali coordinate interpretative all’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, risulta chiaro come il legislatore, nel far riferimento a spazi o aree “di proprietà o di uso comune”, ha inteso richiamare non soltanto il dato giuridico dell’esistenza di una comproprietà o di una servitù di uso comune, ma anche il semplice dato materiale dell’esistenza di uno spazio comunque denominato, che per le sue caratteristiche si presti a essere impiegato dai residenti di entrambi gli immobili confinanti; ed è appena il caso di aggiungere che la definizione della lettera E non presuppone affatto che le “unità immobiliari” cui essa fa riferimento debbano necessariamente essere parte di un medesimo edificio (ché, anzi, dal combinato disposto di detta definizione con quella di cui alla successiva lettera F si ricava che uno spazio esterno comune può certamente interessare anche “più edifici”).

Con riguardo al caso di specie, se è vero che il cortile esistente fra i due immobili e nel quale dovrebbe insistere l’ascensore per cui è causa non risulta essere in comproprietà fra i due condomini, non risulta però contraddetto l’assunto degli appellanti secondo cui esso risulta de facto utilizzato materialmente e per la sua interezza dai residenti di entrambi gli immobili; per vero, il T.A.R. si è limitato a rilevare l’esistenza di un confine catastale che dividerebbe a metà il cortile medesimo, senza però che questo risulti tagliato da muro o recinzioni (unico elemento che sarebbe idoneo a escluderne l’ “uso comune” nel senso sopra precisato).

Ne discende che non poteva il Comune denegare il rilascio del permesso di costruire per il mancato rispetto delle distanze di cui all’art. 873 cod. cov., applicandosi in ogni caso l’ulteriore deroga di cui all’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001".

D.M.

sentenza CDS 6253 del 2012

Nota sulla fusione dei Comuni nel Veneto

12 Dic 2012
12 Dicembre 2012

Ai sensi degli articoli 117 e 133, comma 2, della Costituzione, le Regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei Comuni, sentite le popolazioni interessate, nelle forme previste dalla legge regionale. Salvo i casi di fusione tra più Comuni, non possono essere istituiti nuovi Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri Comuni scendano sotto tale limite. La competenza regionale viene ribadita anche dall’art. 15 del T.U.E.L. ove si stabilisce che “le Regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate”. Unico limite posto alla normativa regionale è “alla comunità di origine o ad alcune di esse siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di  decentramento dei servizi”. Al fine di favorire la fusione, oltre ai contributi regionali, lo Stato eroga per i 10 anni successivi appositi contributi straordinari. La Legge regionale 24 dicembre 1992, n. 25 “Norme in materia di variazioni provinciali e comunali” disciplina, per quanto di competenza regionale, le variazioni delle circoscrizioni dei Comuni e delle Province, nonché il mutamento della denominazione dei Comuni.

Le variazioni delle circoscrizioni comunali possono consistere anche nella fusione di due o più Comuni in uno nuovo. Tali variazioni possono essere conseguenti al processo istituzionale avviato mediante l’Unione di Comuni.

Ai sensi dell'art. 4 l’iniziativa legislativa spetta ad almeno settemila elettori, ad ogni consigliere regionale, alla Giunta regionale, al Consiglio delle autonomie locali. Quando uno o più comuni, anche nel loro insieme, non acquisiscano titolo all'esercizio del potere di iniziativa legislativa comunale, i relativi Consigli possono presentare le loro richieste di variazione alla Giunta regionale, che, entro sessanta giorni, trasmette al Consiglio regionale il corrispondente disegno di legge o respinge la richiesta, dandone comunicazione motivata alla competente commissione consiliare. 

Ai sensi dell’art. 5 della stessa legge, quando il progetto di legge presentato al Consiglio regionale è conforme al programma regionale, la Giunta regionale delibera il referendum consultivo delle popolazioni interessate e il relativo quesito, previa individuazione delle popolazioni stesse ai sensi dell’articolo 6 (“..Quando si tratti della variazione delle circoscrizioni comunali per fusione di comuni ai sensi della lettera d) dell’articolo 3, il referendum deve in ogni caso riguardare l’intera popolazione dei comuni interessati”).

La Legge Regionale n. 18 del 27.04.2012 ad oggetto “Disciplina dell’esercizio associato di funzioni e servizi comunali”, volta a realizzare un piano di riordino territoriale a seguito della disposizioni del succitato Decreto Legge n. 78 del 31.05.2010 convertito con modificazioni dalla Legge n. 122 del 30.07.2010 e del decreto legge n. 138 del 13.08.2011 convertito con modificazioni dalla Legge n. 148 del 14.09.2011, promuove e sostiene l’esercizio in forma associata di funzioni e servizi comunali, nonché la fusione di Comuni, facendo rientrare questa ultima nei criteri di preferenza in sede di ripartizione delle risorse finanziarie che la Regione Veneto stanzia a favore dell’esercizio associato delle funzioni e servizi comunali.

Dott.sa Giada Scuccato

 La fusione tra comuni nel Veneto

 

 

 

La dichiarazione fatta in una domanda di partecipazione ex art. 46 e 47 del d.P.R. n. 445/2000 dal legale rappresentante di una impresa ha valore di dichiarazione sostitutiva di certificazioni e/o di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà riferibile anche al soggetto, persona fisica, che l’ha specificamente sottoscritta

12 Dic 2012
12 Dicembre 2012

In merito ad una domanda di partecipazione alla gara sottoscritta e presentata personalmente dal «legale rappresentante», ove costui ha dichiarato «ai sensi degli artt. 46-47 del d.P.R. n. 445 del 2000, che l’impresa non si trova in alcune delle condizioni di esclusione previste dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006», specificando altresì la sussistenza di tutte le condizioni negative e positive prescritte dalla norma in questione, la sentenza del 3 dicembre 2012, n. 1463, il T.A.R. Veneto sez.1, ha stabilito che la sottoscrizione personale così come la formulazione della dichiarazione contenuta nella domanda di partecipazione sopra riportata costituiscono elementi che, in base ad un’interpretazione ispirata agli ordinari criteri di logica e ragionevolezza, smentiscono, già sul piano formale, l’assunto della ricorrente secondo il quale nel caso in esame difetterebbe tout court una dichiarazione in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale previsti dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 proveniente, personalmente, dal dott.

Infatti, pur essendo riferita all’«impresa», la dichiarazione risulta effettuata espressamente ai sensi degli artt. 46-47 del d.P.R. n. 445 del 2000, con conseguente valore di dichiarazione sostitutiva di certificazioni e/o di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà riferibile anche al soggetto, persona fisica, che l’ha specificamente sottoscritta in veste di legale rappresentante della società.”.

dott.sa Giada Scuccato

sentenza TAR Veneto 1463 del 2012

Effetti della presentazione di una domanda di sanatoria edilizia sui precedenti provvedimenti sanzionatori

11 Dic 2012
11 Dicembre 2012

Pubblichiamo in allegato alcune massime giurisprudenziali riguardanti la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti sanzionatori relativi a opere edilizie abusive, a seguito della presentazione di una domanda di sanatoria edilizia ex art. 36 del DPR 380/2001. 

massime su sanatoria

Aggiudicazione definitiva e mancata stipulazione del contratto: conseguenze per la stazione appaltante

11 Dic 2012
11 Dicembre 2012

Pubblichamo la presentazione del tema esposto dall'avv. Giovanni Sala di Vicenza, che sentitamente ringraziamo, al seminario del 7 dicembre 2012.

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Appunti sul MEPA (mercato elettronico della pubblica amministrazione)

11 Dic 2012
11 Dicembre 2012

Il Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione (MePA) è un mercato digitale che permette alla Pubblica Amministrazione di ricercare, confrontare ed acquistare digitalmente prodotti e/o servizi sotto soglia di rilevanza comunitaria.

Il MePA è altresì un mercato selettivo: sia i fornitori che le P.A. devono registrarsi ed abilitarsi all’interno del mercato elettronico per poter offrire/acquistare prodotti e/o servizi. A tal fine Consip (Concessionaria servizi informatici pubblici) - che ha il compito di attuare il Programma per la razionalizzazione degli acquisti nella P.A. - pubblica dei bandi aventi ad oggetto i prodotti e/o servizi che gli operatori potranno offrire nel MePA. In tali bandi la Consip indica inoltre i requisiti generali e speciali - in particolare i requisiti tecnico-professionali ed economico-finanziari - che i fornitori devono soddisfare per poter ottenere l’abilitazione.

Ciò rappresenta un notevole vantaggio per le P.A. sia in termini di tempo che di risorse economiche: il MePA, infatti, esenta le P.A. dalla verifica dei requisiti professionali, tecnici ed economici collegati alla presentazione delle offerte in quanto è la stessa Consip che, permettendo l’abilitazione  ai soli operatori che soddisfano queste caratteristiche, effettua a priori tale controllo.

La disciplina originaria del MePA è costituita dal DPR 101/2002 che prevede la possibilità per le Amministrazioni (art. 1, c. 1,  lett. e)), ossia per tutti i soggetti, gli enti e gli organismi tenuti all’applicazione delle normative nazionali e comunitarie in materia di appalti pubblici, di ricorrere al mercato elettronico per gli acquisti di prodotti e/o servizi sotto soglia comunitaria (art. 2 e capo III) . Le Regioni, le Provincie, le città metropolitane, i Comuni e le Comunità montane possono  ricorrere al MePA se, nell’ambito delle rispettive autonomie, hanno disposto per l’applicazione del DPR 101/2002.

L’art. 1, c. 450, l. 296/2006, prevede l’obbligo, a decorrere dal 1° luglio 2007, di ricorrere al MePA per l’acquisto di prodotti e/o servizi sotto soglia per le amministrazioni statali, centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie.

Il D. L. 52/2012 convertito con modificazione dalla legge 94/2012, se da un lato ha ribadito l’obbligo di ricorrere al MePA per le amministrazioni statali, centrali e periferiche, dall’altro lato ha imposto a tutte le Amministrazioni come definite ai sensi dell’art. 1, D. Lgs 165/2001, di ricorrere al MePA o ad altri mercati elettronici previsti dall’art. 328 DPR 207/2010, per l’acquisto di prodotti e/o servizi sotto soglia comunitaria. A riguardo è utile ricordare che l’art. 253 D. Lgs. 163/2006 stabilisce che il DPR 101/2002 continua ad applicarsi sino all’entrata in vigore del Regolamento attuativo del Codice dei contratti pubblici. Attualmente, dunque, è il DPR 207/2010 a regolare - con  l’art. 328 - il MePA e ad aver abrogato, con l’art. 358, c. 1, lett. g), il D.P.R. 101/2002.

Nello specifico l’art. 328 del Regolamento ribadisce che il MePA gestito dalla Consip - ovvero il mercato elettronico creato ad hoc dalla stazione appaltante o quello realizzato dalla centrale di committenza - permettono l’acquisto di beni e/o servizi sotto soglia comunitaria nel rispetto dei principi nazionali e comunitari in materia di appalti, tra cui il principio di parità di trattamento, di non discriminazione, di trasparenza e di semplificazione delle procedure (art. 328, c. 2). Il MePA, inoltre, non deroga alle normative comunitarie e nazionali in materia di esecuzione di contratti pubblici che continuano ad applicarsi anche a tale forma di acquisto digitale.

Il comma 3, dell’art. 328 del Regolamento, disciplina la procedura di abilitazione degli operatori e consistente nella pubblicazione di bandi aperti ai soli operatori che soddisfano le caratteristiche tecnico- professionale ed economico-finanziario previste. A tal fine si ricorda che l’abilitazione dei fornitori è assolutamente gratuita.

Il comma 4, lett. a) dell’art. 328 del Regolamento, evidenzia infine le modalità con cui la P.A. può fare acquisti nel MePA: tramite ordine diretto o richiesta di offerta.

L’ordine diretto permette alla P.A. di acquistare direttamente i prodotti e/o servizi con le caratteristiche e le condizioni contrattuali indicate a monte nei singoli bandi e visualizzabili nel catalogo on line dei prodotti consultabile nel sito www.acquistinretepa.it. Dopo aver scelto nel catalogo i prodotti che soddisfano le esigenze pubbliche, la P.A. compila il modulo d’ordine indicando la quantità ed il luogo di consegna e sottoscrivendolo con firma digitale. A tal proposito il comma 5, dell’art. 328 del Regolamento, prevede che il contratto è stipulato con scrittura privata che può consistere anche nello scambio della proposta e dell’accettazione firmate digitalmente.  

L’altra modalità di acquisto è costituita dalla Richiesta di offerta: la P.A. può negoziare i prezzi e le condizioni migliorative e/o specifiche dei prodotti e/o servizi pubblicati sul catalogo on line. È possibile consultare anche più fornitori: in tal caso il MePA predispone automaticamente una graduatoria sulla base dei criteri scelti dalla stazione appaltante.

L’art. 328, c. 4, lett. b) del Regolamento, tuttavia, prevede la possibilità di acquistare beni e/o servizi sotto soglia comunitaria ricorrendo anche alle procedure di acquisto in economia, ex artt. 125 e ss. D. Lgs. 163/2006, ovviamente con i limiti di prezzo e quantità previsti da tali norme e nel rispetto degli autovincoli imposti dalla stessa Amministrazione.

Il D. L. 52/2012 convertito con modificazioni dalla l. 94/2012, inoltre, ha modificato l’art. 11, comma 10 bis, lett. b), D. Lgs. 163/2006, prevedendo una nuova deroga all’applicazione del termine dilatorio (c.d. standstill period) di 35 giorni tra l’invio dell’ultima comunicazione di aggiudicazione definitiva e la stipulazione del contratto pubblico anche nel caso in cui l’acquisto sia effettuato attraverso il MePA.

Per quanto concerne la Dichiarazione Unica di Regolarità Contributiva (DURC) che il concorrente partecipante ad una gara deve produrre si evidenzia come,  ex art. 6, c. 3, DPR 207/2010, le amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono d’ufficio, anche attraverso strumenti informatici, tale documento di regolarità contributiva. A riguardo si ritiene spetti alla Consip, competente a verificare i requisiti di abilitazione in capo ai soggetti offerenti, la verifica dell’autodichiarazione resa ex art. 38, c. 1, lett. i) e richiamata dalla art. 6, c. 3, lett. a), DPR 207/2010.

Per quanto concerne la verifica degli altri DURC che devono essere prodotti nella diverse fasi della procedura di gara sino al pagamento del corrispettivo contrattuale, (art. 6, c. 3, lett. b), c), d), e)) si ritiene spetti alla P.A., competente a stipulare il contratto di appalto pubblico, accertare e controllare tale documenti.

Il D. L. 95/2012 convertito con modificazioni dalla legge 135/2012 prevede, all’art. 1, che i contratti stipulati in violazione dell’art. 26, c. 3,  l. 488/1999 e quelli stipulati in violazione degli obblighi di realizzare acquisti sul MePA sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa.

L’art. 26, c. 3, l. 488/1999 disciplina la possibilità per le P.A. di realizzare acquisti ricorrendo alle Convenzioni: queste sono contratti quadro stipulati da Consip nell’ambito dei quali i fornitori aggiudicatari di gare – esperite con modalità tradizionale o smaterializzata a seguito della pubblicazione di bandi – si impegnano ad accettare ordinativi di fornitura emessi dalle P.A. sino al raggiungimento dell’importo o del quantitativo massimo in esse previsto.  Le Convenzioni sono uno strumento complementare al MePA: di regola si ricorre alle Convenzioni per acquisti standard, mentre al MePA per acquisti specifici, frazionati o frequenti.  Il legislatore ha dunque comminato la sanzione della nullità per i contratti pubblici stipulati in violazione sia della normativa sulle Convenzioni che sul MePA. 

Cosa succede nel caso in cui il bene/servizio offerto non è reperibile nel MePA?

Si tende a ritenere che la P.A. non possa ricercare altrove, cioè fuori del MePA, il bene/servizio adducendo la necessità di caratteristiche tecniche non essenziali o l’assenza di requisiti di carattere meramente estetico. Le recenti modifiche legislative, infatti, stanno spingendo verso una marcata standardizzazione della qualità del prodotti. In attesa di un intervento chiarificatore e/o interpretativo dell’AVCP è possibile affermare che la P.A. legittimamente può acquisire altrove il prodotto/servizio - che non trova nel MePA - solamente se motiva adeguatamente e specificamente le ragioni di fatto e di diritto che giustificano tale scelta. D’altronde è lo stesso art. 68, c. 13, D. Lgs. 163/2012 che ammette la possibilità di richiedere delle specifiche tecniche particolari qualora ciò è giustificato dall’oggetto dell’appalto. In proposito il Consiglio di Stato, sez. V, 23 gennaio 2004, n. 202 afferma che “In tema di appalti di forniture, il divieto di menzionare prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza e di indicare marchi, brevetti, ecc. (art. 8 comma 6 d. lg. 24 luglio 1992 n. 358) non costituisce un divieto assoluto ma relativo, in quanto la prescrizione va coordinata con altri valori giuridici altrettanto meritevoli di tutela, e va considerato tenendo conto del sotteso interesse pubblico di favorire una reale concorrenza fra i partecipanti della gara, sicché, ove l’indicazione di un determinato prodotto abbia una adeguata giustificazione nella particolarità delle esigenze che la formino o prodotti, non vi è ragione per limitare il potere tecnico discrezionale dell’amministrazione appaltante nel definire l’oggetto della fornitura”.

Un’altra problematica concerne il disposto dell’art. 1, D. L. 95/2012 convertito con modificazioni dalla legge 135/2012, laddove prevede che ai fini della determinazione del danno erariale si tiene conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto.

Cosa accade se lo stesso ed identico bene che si trova nel MePA, lo si può trovare anche fuori, ma ad un prezzo più basso?

In attesa di un intervento chiarificatore dell’AVCP, è possibile affermare che la responsabilità per danno erariale è configurabile solo laddove il bene acquistato fuori dal MePA abbia un prezzo più elevato, e non nel caso contrario. Anche qui, comunque, occorre una specifica e attenta motivazione che spieghi, nella determina a contrarre, le ragioni che hanno portato la P.A. ad agire in questo modo. È opportuno sottolineare che, prima delle modifiche apportate in sede di conversione con la legge 94/2012, il tenore dell’art. 7 del D. L. 52/2012 era ben diverso: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, quale misura di coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni pubbliche nell'indizione o nell'effettuazione delle proprie procedure di acquisto applicano parametri prezzo-qualità migliorativi di quelli eventualmente individuati in modo specifico nei bandi di gara pubblicati dalla Consip S.p.A. per beni o servizi comparabili”.  Tale disposizione, non confermata in sede di conversione, prevedeva espressamente la possibilità per la P.A. di ricercare soluzioni economicamente più vantaggiose per l’acquisto di prodotti rispetto ai bandi pubblicati da Consip. Sulla stregua di tale normativa, il T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, con la sentenza del 15.05.2012 n. 1350, aveva sancito l’illegittimità dell’operato di una stazione appaltante che, pur a fronte di un’aggiudicazione provvisoria alla stessa economicamente favorevole, ha preferito annullare la gara in via di autotutela per rivolgere ad una centrale di committenza che applicava però prezzi superiori: “Tanto premesso, pare inficiato da indubbia illegittimità l’operato della stazione appaltante, la quale, nell’esplicazione della propria potestà di autotutela, ha ritenuto di porre nel nulla l’aggiudicazione provvisoria alla ricorrente della fornitura dei lotti in questione, nonostante la stessa fosse di gran lunga economicamente più vantaggiosa rispetto a quella che si sarebbe ottenuta mediante l’adesione alle convenzioni stipulate dalla centrale acquisti regionale (come risulta dai prospetti di confronto tra le offerte versati in atti) e nella consapevolezza di tale maggiore economicità, come risulta dall’esame della documentazione versata in atti” (...) “impongono all’amministrazione di effettuare il bilanciamento tra i contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti nella vicenda, atteso che, nella fattispecie in questione, entrambe le categorie di interessi deponevano nel senso del mantenimento in vigore dell’aggiudicazione nei confronti della ricorrente, anche se non ancora divenuta definitiva, perché maggiormente vantaggiosa anche per l’interesse pubblico. E ciò, anche in considerazione del particolare momento di congiuntura economica in cui si trova il Paese, che dovrebbe far propendere per scelte dirette ad un maggior risparmio per la spesa pubblica”. L’art. 7, D. L. 52/2012, permette di identificare la ratio legis sottesa all’attuale obbligo di ricorrere al MePA per l’acquisto di prodotti/servizi sotto soglia: laddove lo stesso ed identico bene sia acquisibile altrove ad un  prezzo inferiore, non c’è danno erariale, fermo restando la possibile nullità del contratto e la possibile responsabilità disciplinare/amministrativa.

Alla luce di quanto esposto è possibile affermare che il MePA determina indubbi vantaggi per le P.A.:

  • Risparmi di tempo sul processo di acquisizione di prodotti e/o servizi sotto soglia;
  • Risparmio di risorse economiche per la predisposizione del materiale cartaceo e per la verifica dei requisiti tecnico-professionali dei fornitori abilitati;
  • Trasparenza e tracciabilità dell’intero processo d’acquisto;
  • Ampliamento delle possibilità di scelta per le Amministrazione che possono confrontare prodotti offerti da fornitori presenti su tutto il territorio nazionale;
  • Soddisfazione di esigenze anche specifiche della P.A.

Inoltre ci sono notevoli vantaggi anche per i fornitori:

  • Diminuzione dei costi commerciali e ottimizzazione dei tempi di vendita;
  • Accesso al mercato della P.A.;
  • Valorizzazione delle PMI e delle microimprese che costituiscono il 90 % dei fornitori abilitati;
  • Concorrenzialità  e confronto tra i fornitori;
  • Possibilità di offrire i prodotti/ servizi su tutto il territorio nazionale.

dott. Matteo Acquasaliente

normativa mepa

Le linee guida della Provincia di Vicenza su SUAP e varianti al PRG

10 Dic 2012
10 Dicembre 2012

Sul sito della Provincia di Vicenza sono state pubblicate le LINEE GUIDA SPORTELLO UNICO ATTIVITA' PRODUTTIVE VARIANTI AL PRG – ART. 8 DEL DPR 160/2010.

Particolare rilevanza in materia di SUAP, per quanto di competenza del Settore Urbanistica della Provincia di Vicenza, hanno le disposizioni contenute nell'art. 8 del citato D.P.R. n. 160/2010, concernenti i raccordi procedimentali con gli strumenti urbanistici, con particolare riguardo agli interventi comportanti variante agli strumenti urbanistici generali vigenti.

Linee_ Guida_2

Le slides di Travaglini relative al seminario del 7.12.2012 sugli appalti pubblici

10 Dic 2012
10 Dicembre 2012

Pubblichiamo le slides illustrate dal dott. Roberto Travaglini di Confindustria Vicenza durante il seminario del 7 dicembre 2012 in materia di appalti pubblici. Ringraziamo sentitamente l'autore.

Procedure in economia

Le varianti in corso d’opera

L’affidamento di servizi mediante convenzionamento con Cooperative Sociali

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