S.O.S. tecnico: partecipazione dell’interessato al procedimento di apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio derivante dalla approvazione di un piano

10 Gen 2014
10 Gennaio 2014

Vi sottopongo un quesito che deriva da un caso pratico in materia di espropri.

Come noto, la procedura espropriativa di suddivide in quattro fasi (art. 8 D.P.R. n. 327/2001): 1. apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, che, in genere, si ricollega all’approvazione dello strumento urbanistico generale o di una sua variante che prevedono la realizzazione di un’opera pubblica; 2. dichiarazione di pubblica utilità, che, in generale,  si produce per effetto dell’approvazione del progetto definitivo; 3. determinazione, anche in via provvisoria, dell’indennità di esproprio; 4. decreto di esproprio.

Il problema è capire come sia regolamentata dal D.P.R. n. 327/2001 (che, si ricorda, è un Testo unico e, quindi, contiene una raccolta di norme di varia fonte, legislativa e regolamentare, di non sempre facile coordinamento) la partecipazione dell’espropriando al procedimento di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio che discende ex lege dall’approvazione di un piano urbanistico di una variante (cfr. art. 9 del D.P.R. n. 327/2001).

 Poniamo il caso più semplice, e forse più frequente nell’esperienza dei comuni,  di un vincolo preordinato all’esproprio che derivi dall’approvazione del PI.

La disciplina specifica è contenuta nell’art. 11, intitolato, appunto, “La partecipazione degli interessati”.

Il comma 1 lettera a) prevede che sia necessario inviare l’avviso di avvio del procedimento “nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno 20 venti giorni prima della delibera del consiglio comunale”: la ratio è che quando è prevista un’opera pubblica (o privata di pubblica utilità) che andrà ad insistere su una determinata area riconducibile a un determinato proprietario catastale quest’ultimo vada avvisato dell’adozione dell’adozione dell’atto urbanistico che appone il vincolo preordinato all’esproprio. Tale onere di comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, spiega la dottrina (“L’espropriazione per pubblica utilità”, Caringella, De marzo, De Nictolis, Maruotti, Giuffré, Milano, 2003), non sussiste quando invece si è in presenza di una variante urbanistica generale o di un nuovo strumento urbanistico generale, dai quali discendano una serie di vincoli preordinati all’esproprio e risulti estremamente difficoltoso per l’Amministrazione individuare tutti i destinatari espropriandi (anche se, sempre in base alla medesima dottrina, ciò non comporta il venire meno dell’obbligo per la P.A.,  pena di illegittimità dell’intera procedura, di pronunciarsi sulle osservazioni che gli espropriandi che fossero venuti a conoscenza dell’adozione della variante generale o del piano eventualmente presentassero).

La lettera a) prevede espressamente che l’avviso di avvio del procedimento vada inviato al proprietario almeno 20 giorni prima della delibera del Consiglio comunale di adozione della variante urbanistica.

Il problema è coordinare questa disposizione con il successivo comma 2 dell’art. 11, nella parte in cui, dopo avere indicato le modalità dell’avviso (che variano a seconda che i destinatari siano o più o meno di 50), prevede che “Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall’autorità espropriante ai fini delle relative determinazioni.” Un ulteriore problema è il coordinamento con il successivo comma 5 dell’art. 11, che così recita: “Salvo quanto previsto dal comma 2, restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell’area e di altri interessati nelle fasi di adozione e approvazione degli strumenti urbanistici.”

Poniamo il caso che il PI preveda la realizzazione di una singola opera pubblica (ad esempio una palestra) sull’area di un determinato proprietario catastale. Ci si chiede: quali sono i termini e gli adempimenti da rispettare da parte del Comune nell’espletamento della procedura di approvazione del PI, considerato che nel caso di specie a tale approvazione la legge ricollega l’effetto di  apposizione del vincolo preordinato all’esproprio?

In base all’art. 11, comma 1, lettera a), l’avviso deve essere fatto al proprietario catastale almeno 20 giorni prima dell’adozione, ma questo termine deve coordinarsi con quello di 30 giorni che il comma 2 dell’art. 11 assegna all’interessato per proporre le osservazioni (termine che dovrebbe decorrere, a rigore, dalla ricezione dell’avviso di avvio del procedimento): ciò comporta che tra l’invio dell’avviso di avvio del procedimento e la la deliberazione di adozione del PI dovrebbero intercorrere almeno 50 giorni (20+30). Anzi ciò non è corretto, dal momento che il comma 2 citato impone che le osservazioni, dopo essere pervenute al Comune siano anche valutate dall’amministrazione e ciò evidentemente comporta l’espletamento di una attività istruttoria da parte degli uffici comunali che richiede almeno alcuni giorni.

In sostanza, parrebbe che prima di un minimo di 50 giorni (ma il termine è superiore, sia per il tempo necessario alla ricezione da parte dell’interessato dell’avviso sia per il tempo necessario agli uffici per istruire le osservazioni) il PI non possa essere adottato, cosicché ai tempi previsti dall’art. 18 della LR 11/2004 per arrivare alla approvazione del PI devono essere sommati, in caso di esproprio, questi ulteriori 50 giorni a garanzia dei diritti partecipativi dell’espropriando, che ha appunto a disposizione una fase partecipativa in più rispetto agli altri soggetti interessati al PI, fase collocata a monte dell’adozione.

Questa è la ricostruzione della normativa in astratto, ma vorrei capire dai Comuni che leggono Venetoius come si regolino in concreto in questi casi. Attendo lumi e ringrazio.

Avv. Marta Bassanese

Trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni – Preclusione dell’uso del fax

10 Gen 2014
10 Gennaio 2014

La preclusione dell'uso del fax nella trasmissione dei documenti tra pubbliche amministrazioni è stata apportata all’ art. 47 del D.Lgs n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione  digitale)  dal "Decreto del fare" ( art. 14, comma 1-bis, D.L. 21 giugno 2013, n. 69,). 

Quindi tale norma riguarda solo i rapporti tra pubbliche amministrazioni e non è applicabile ai privati.

La norma è entrata in vigore dal 21 agosto 2013

 L’art. 47 del D.Lgs. 82/2005  come modificato  dal “Decreto del fare” D.L. 21 giugno 2013, n. 69 art. 14, comma 1 – bis è il seguente:

“1.  Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.

1-bis.  L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1, ferma restando l'eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.

2.  Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se:

a)  sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

b)  ovvero sono dotate di segnatura di protocollo di cui all'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

c)  ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all'articolo 71. (È in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax);

d)  ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.

3.  Le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, provvedono ad istituire e pubblicare nell'Indice PA almeno una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo. Le pubbliche amministrazioni utilizzano per le comunicazioni tra l'amministrazione ed i propri dipendenti la posta elettronica o altri strumenti informatici di comunicazione nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e previa informativa agli interessati in merito al grado di riservatezza degli strumenti utilizzati.

Avv.to Gianmartino Fontana

L’annullamento d’ufficio richiede la motivazione sul pubblico interesse

09 Gen 2014
9 Gennaio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1414 del 2013.

Scrive il TAR: "1, L’esame del provvedimento impugnato consente di ritenere fondati sia il primo che il secondo motivo e, ciò, nella parte in cui si è rilevato, sotto diverse fattispecie, la violazione dell’art. 21 nonies della L. n. 241/90.
2. Per quanto concerne il secondo motivo va rilevato come risulti assente qualunque valutazione circa l’interesse pubblico al presunto ripristino della legalità violata così, come risulta mancante l’indispensabile correlazione tra l’interesse pubblico e le aspettative del privato in origine destinatario del provvedimento poi annullato.
2.1 L’Amministrazione si è limitata ad elencare i presunti motivi di illegittimità del permesso di costruire, senza nulla argomentare circa i presupposti di cui all’art. 21 nonies della L. n. 241/90.
2.2 Detto comportamento costituisce una violazione espressa di un orientamento oramai consolidato (per tutti si veda T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 23-05-2013, n. 2724) nella parte in cui rileva che “Il provvedimento di annullamento di ufficio di un permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all'autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato”.
2.3 E’ parimenti noto che l’annullamento d'ufficio del permesso edilizio deve ritenersi consentito quando appaia giustificato dalla ricorrenza di uno specifico interesse pubblico concreto ed attuale, diverso da quello del mero ripristino della legalità violata.
3. Costituisce onere dell’Amministrazione quello di effettuare una congrua valutazione comparativa tra l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto ed il contrapposto interesse del privato alla conservazione del titolo, tenuto conto del livello di consolidamento dell'aspettativa sull'efficacia del permesso edilizio, valutata con speciale ponderazione del tempo passato dall'inizio dei lavori e della concreta consistenza che questi ultimi abbiano raggiunto.
4. Pur considerando dirimente detto motivo va rilevato come sussista altresì la violazione dell’art. 21 nonies anche per quanto concerne l’ulteriore presupposto relativo all’esistenza di un provvedimento illegittimo e con riferimento al primo motivo del ricorso.
4.1 Risulta, infatti, erroneo il riferimento contenuto nel provvedimento impugnato circa la presunta violazione della distanza tra allevamenti zootecnici e abitazioni di terzi, distanza minima pari a 25 metri e desumibile dall’art. 1.3 del Regolamento edilizio comunale".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1414 del 2013

Il diritto di accesso agli atti c.d. defensionale

09 Gen 2014
9 Gennaio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 1412 del 2013 si occupa dell'accesso agli atti c.d. defensionale, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio (già pendente o da introdurre), ovvero nell'ambito di un procedimento amministrativo.

Scrive il TAR: "la tutela del diritto di accesso, come previsto dall'art. 22, comma 2, della L. n. 241 del 1990 (come modificata dalla L. n. 69 del 2009), è preordinata al perseguimento di rilevanti finalità di pubblico interesse al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'attività amministrativa (ex multis Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2093). La giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons.St., sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555) ha ritenuto che la domanda di accesso: a) deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile, e non può essere generica; b) deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta (Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3271; sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4216); c) deve essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore; d) non può essere uno strumento di controllo generalizzato dell'operato della P.A. (ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 116; id., sez. IV, n. 2283/2002; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 02 febbraio 2011, n. 187); e) non può assumere il carattere di una indagine o un controllo ispettivo, cui sono ordinariamente preposti organi pubblici (Cons. St., sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2283; T.a.r. Lazio, sez. II, 22 luglio 1998, n. 1201). Ed ancora, è stato affermato che l'accesso c.d. defensionale, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio (già pendente o da introdurre), ovvero nell'ambito di un procedimento amministrativo, riceve protezione preminente dall'ordinamento atteso che, per espressa previsione normativa (art. 24, u.c., L. n. 241 del 1990), prevale su eventuali interessi contrapposti (in particolare sull'interesse alla riservatezza dei terzi, financo quando sono in gioco dati personali sensibili e, in alcuni casi, anche dati ultrasensibili (Cfr. C.S., Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 783). Ebbene, nella fattispecie, la ricorrente ha dimostrato di essere titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti ai quali è chiesto l' accesso, stante la necessità di conoscere tali atti alla cui stregua poter appurare la legittimità e l’imparzialità dell’operato della pubblica amministrazione e poter compiutamente esercitare il proprio diritto di difesa nel giudizio pendente R.G. n. 581/2013 ed in altri eventuali giudizi. Pertanto, non residuando alcun dubbio circa il diritto della ricorrente ad ottenere l'accesso e l'estrazione di copia dei documenti di cui all'originaria istanza e alla successiva lettera del 28 agosto 2013 di segnalazione dei documenti ancora mancanti, il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell'impugnato silenzio".

sentenza TAR Veneto 1412 del 2013

Ecco le nuove soglie comunitarie in materia di appalti

08 Gen 2014
8 Gennaio 2014

Con il Regolamento UE n. 1336/2013 del 13 dicembre 2013 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE L 335/17 del 14 dicembre 2013) sono state adottate le nuove soglie di applicazione della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici.

Il Regolamento è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri dell’Unione Europea a partire dal 1 gennaio 2014.

Le soglie determinano gli importi dei bandi di gara a partire dai quali si applica la normativa comunitaria anziché quella nazionale, e sono state fissate in:

  • 134.000 euro per gli appalti pubblici di forniture e servizi aggiudicati da autorità governative centrali (ministeri, enti pubblici nazionali);
  • 207.000 euro per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici diverse dalle autorità governative centrali;
  • 5.186.000 euro per gli appalti pubblici di lavori.

Per quanto concerne invece gli appalti nei cosiddetti "settori esclusi" (appalti pubblici nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali), saranno in vigore dal 1 gennaio 2014 le seguenti soglie:

  • 414.000 euro per gli appalti di forniture e di servizi;

5.186.000 euro per gli appalti di lavori e per le concessioni.

dott. Matteo Acquasaliente

Regolamento UE n. 1336 del 2013

Chi non ha presentato una domanda di partecipazione può impugnare gli atti della procedura diretta all’assegnazione degli alloggi di proprietà comunale?

08 Gen 2014
8 Gennaio 2014

Risponde di no il TAR Veneto nella sentenza n. 1409 del 2013.

Scrive il TAR: "2.1 Per quanto concerne in particolare la procedura diretta all’assegnazione degli alloggi di proprietà comunale va rilevato come, con il ricorso e i successivi motivi aggiunti, si siano impugnati una pluralità di provvedimenti, che vanno dalla delibera della Giunta Comunale di Cortina d’Ampezzo n. 205 del 20 Dicembre 2011, con la quale sono stati sanciti gli “indirizzi politico amministrativi per la predisposizione di un Bando per la locazione di unità abitative di proprietà comunale”, sino all’impugnazione del relativo bando e della graduatoria.
2.2 Sul punto risulta dirimente constatare, al fine della pronuncia di inammissibilità, come tali impugnative siano state proposte con riferimento ad una procedura in cui l’attuale ricorrente aveva ritenuto di non proporre alcuna domanda di partecipazione.                                                                                                                                                                                         

2.3 Detta fattispecie è stata oggetto di un costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, confermato anche di recente (per tutti si veda Cons. Stato Sez. III, 17-06-2013, n. 3324) e riferito alla disciplina dei contratti pubblici, fattispecie che è possibile applicare al caso in questione in considerazione di un’evidente analogia con le procedure di selezione dei partecipanti poste in essere dal Comune di Cortina. L’orientamento sopra citato prevede che “Nelle controversie riguardanti l'affidamento di contratti pubblici la legittimazione al ricorso spetta, di massima, salvo ipotesi residuali e tassative individuate dalla giurisprudenza, esclusivamente ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, poiché solo a tale qualità si riconnette l'attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela. L'interesse c.d. strumentale al conseguimento del bene della vita consistente nell'affidamento dell'appalto resta, quindi, condizionato al positivo riscontro della legittimazione al ricorso. L'onere di presentazione della domanda di partecipazione ai fini della qualificazione dell'interesse all'impugnazione viene meno solo: a) nella contestazione in radice della scelta della stazione appaltante di indire la procedura di scelta del contraente; b) nei giudizi introdotti ad iniziativa dell' operatore economico di settore avverso un affidamento diretto o senza gara; c) in presenza di clausole del bando che si qualifichino escludenti in relazione alla previsione di  determinati requisiti di partecipazione”.
2.4 Analoghe pronunce (T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 07-11-2012, n. 2686) hanno previsto che l'impugnazione di un bando di gara è consentito alle imprese che non abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara medesima, soltanto nell’ipotesi in cui – evidentemente eccezionale - il bando stesso contenga delle norme che non consentano la partecipazione alla gara indetta, nel senso che se le imprese suddette avessero partecipato alla gara, sarebbero state sicuramente escluse.
2.5 L’analisi della fattispecie ora sottoposta a questo Collegio consente di rilevare l’inesistenza di quelle ipotesi eccezionali sopra ricordate e, ciò, considerando come nel ricorso proposto non sia stato dedotto alcun vizio suscettibile di impedire la partecipazione dell’attuale ricorrente.
2.6 La parte ricorrente, non presentando alcuna domanda di partecipazione, si è implicitamente autoesclusa dall'ulteriore corso della procedura, determinando il venir meno di un qualsiasi legittimazione e interesse all’annullamento degli atti impugnati.
3 E’, infatti, del tutto evidente che l’eliminazione dall’ordinamento degli atti, riferiti alla procedura di assegnazione degli alloggi di proprietà comunale, non determinerebbe alcun beneficio dell’attuale parte attrice che, in quanto tale, non potrebbe ottenere l’assegnazione di alcuno degli immobili di cui si tratta, considerando peraltro come i relativi contratti di locazione siano stati sottoscritti, senza peraltro risultare oggetto di specifica impugnazione.

...

6. Analogamente inammissibile è l’impugnativa proposta avverso gli atti relativi all’assegnazione di alloggi a servizio a dipendenti del Comune (e assimilati) di Cortina d’Ampezzo e, ciò, considerando come la parte ricorrente non abbia provveduto ad impugnare il provvedimento di esclusione.
6.1 Sul punto va ricordato che per un costante orientamento (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 11 del 2010), si è previsto che, nel caso in cui l'amministrazione abbia emanato un provvedimento di esclusione, il concorrente non ha la legittimazione ad impugnare l'aggiudicazione, a meno che non ottenga una pronuncia di accertamento della illegittimità dell'esclusione. Si è sancito, infatti, che la determinazione di esclusione, non impugnata o non annullata, cristallizza definitivamente la posizione sostanziale del concorrente, ponendo quest’ultimo nella stessa situazione soggettiva di colui che sia rimasto estraneo alla gara, in quanto titolare di un interesse di mero fatto (Consiglio di Stato n. 6711/2011).
6.2 Un ulteriore decisione in materia di rapporto tra ricorso incidentale e ricorso principale (Cons. Stato Ad. Plen., 07-04-2011, n. 4) ha, seppur indirettamente, confermato il principio sopra ricordato, disponendo che “la mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente ad attribuire la legittimazione al ricorso. Pertanto la definitiva esclusione o l'accertamento dell'illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. La legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione. Tale regola, ormai consolidata, subisce alcune deroghe, concernenti, rispettivamente: a) la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta di indire la procedura; b) la legittimazione dell'operatore economico "di settore", che intende contestare un "affidamento diretto" o senza gara; c) la legittimazione dell'operatore che impugna una clausola del bando "escludente", in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione”.

sentenza TAR Veneto 1409 del 2013

In materia paesaggistica non basta a giustificare un diniego l’affermazione che le opere per “materiali e tipologia danneggiano la percezione paesaggistica dei luoghi”

08 Gen 2014
8 Gennaio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1407 del 2013, rilevando una certa masochistica ostinazione della Soprintendenza a emanare atti palesemente vocati all'annullamento da parte del TAR.

Scrive il TAR: "2. Per quanto concerne il ricorso 2151/11 è possibile disporne l’accoglimento, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, ritenendo sul punto fondato il primo motivo, nell’ambito del quale si censura il carattere apodittico e generico della motivazione.
2.1 A tal fine è opportuno ricordare come il provvedimento di diniego impugnato ha respinto la domanda di definizione degli illeciti edilizi, limitatamente al garage in lamiera e al manufatto ad uso sgombero “in quanto per materiali e tipologia danneggiano la percezione paesaggistica dei luoghi”.
2.2 Sul punto va richiamato quell’orientamento giurisprudenziale (per tutti Consiglio di Stato sez. V n.5392/2001) nella parte in cui ha sancito che l’atto conclusivo del procedimento conseguente ad una domanda di sanatoria deve indicare specificamente le ragioni di diritto e di fatto poste a base del diniego opposto, motivando in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all’esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le ragioni per le quali le opere edilizie  considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette. Anche questo Tribunale (T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 25-05-2012, n. 738) ha avuto modo di precisare che “Per quanto concerne la motivazione idonea a sorreggere un provvedimento di diniego del richiesto nulla osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, deve chiarirsi che l'Amministrazione non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un'opera non sia  idonea ad inserirsi nell'ambiente, attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche”.
2.3 Va pertanto condivisa la ricostruzione di parte ricorrente, laddove ricorda come il solo riferimento generico alla tipologia della costruzione e delle scelta dei materiali non possa essere considerato sufficiente a sorreggere il diniego di concessione in sanatoria. Se è pur vero che analoga giurisprudenza ha ritenuto la sufficienza di una motivazione scarna e sintetica, quest'ultima deve rilevare comunque gli estremi logici  dell'incompatibilità (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 01-08- 2013, n. 690 e Cons. Stato Sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6082).
2.4 Nulla di tutto ciò è presente nel caso di specie, dove gli unici elementi di incompatibilità sono individuati per “materiali e tipologia danneggiano la percezione paesaggistica dei luoghi”, risultando assente un qualunque riferimento alle caratteristiche dell’ambiente circostante, suscettibile in quanto tale di far comprendere le ragioni a fondamento di detta incompatibilità.
2.5 Nemmeno è possibile condividere le argomentazioni dell'Amministrazioni comunale laddove rileva come i manufatti in lamiera di cui si tratta risulterebbero evidentemente incompatibili, di per sé, con il territorio di Venezia.
2.6 Dette argomentazioni non sono suscettibili di determinare il venir meno del carattere generico e apodittico della motivazione, risultando applicabili ad un qualunque manufatto incidente nell’area di cui si tratta, la cui realizzazione risulterebbe, comunque, incompatibile con l’ambiente circostante solo perché incidente sul territorio di Venezia".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1407 del 2013

Tavola rotonda “politica” a Asolo sul piano casa: mercoledì 8 gennaio 2014 ore 18

07 Gen 2014
7 Gennaio 2014

Organizzato da Confartigianato Marca Trevigiana, Confartigianato Vicenza, in collaborazione con la Fondazione La Fornace e con il patrocinio del Consiglio Regione Veneto

Il Veneto volta pagina: Piano casa e tutela del territorio.
Mercoledì 8 gennaio - ore 18:00
La Fornace di Asolo

Saluti:
Clodovaldo Ruffato, presidente del Consiglio regionale del Veneto
Mario Pozza, presidente Confartigianato Marca Trevigiana
Agostino Bonomo, presidente Confartigianato Vicenza
Francesco Giacomin, presidente Fondazione La Fornace dell'Innovazione

Tavola rotonda:
Bruno Barel, avvocato e docente Università di Padova
Paolo Bassani, presidente Federazione edilizia Confartigianato del Veneto
Franco Conte, senatore
Andrea Gioss, sindaco di Asiago
Gian Antonio Stella, giornalista
Marino Zorzato, vicepresidente Regione del Veneto

Coordina
Daniele Ferrazza

Informazioni:
Confartigianato Marca Trevigiana, tel 0422 433300 begin_of_the_skype_highlighting 0422 433300 GRATIS  end_of_the_skype_highlighting
Confartigianato Vicenza, tel 0444 168300 begin_of_the_skype_highlighting 0444 168300 GRATIS  end_of_the_skype_highlighting
Presidenza Consiglio regionale del Veneto, tel 041 2701310 begin_of_the_skype_highlighting 041 2701310 GRATIS 

La partecipazione alle gare delle imprese che hanno presentato domanda di concordato con continuità “in bianco”: la giurisprudenza oscilla

07 Gen 2014
7 Gennaio 2014

Il concordato preventivo con continuità aziendale è disciplinato dall’art. 186-bis del RD 16.03.1942, n. 267, norma introdotta nel corpo della c.d. “Legge fallimentare” dall’art. 33, comma 1, lett. h), del DL 22.06.2012, n. 83, convertito con legge 7.08.2012, n. 134.

Sullaa partecipazione alle gare delle imprese che hanno presentato domanda di concordato con continuità “in bianco” recenti e importanti decisioni del Consiglio di Stato e del TAR Bolzano non forniscono chiavi di lettura “univoche”.

Sulla questione pubblichiamo un intervento del dott. Roberto Travaglini di Confidustria Vicenza, che sentitamente ringraziamo.

Partecipazione_gare_domanda_concordato_in_bianco_Venetoius

Cons_Stato_V_6272-2013_concordato_con_continuità_gara_appalto

TAR_Trentino_Alto_Adige_Bolzano_364-2013

 

Una moschea può essere utile all’anima dei fedeli e anche salvare il piano regolatore

07 Gen 2014
7 Gennaio 2014

La sentenza del TAR Brescia n. 1176 del 2013 si occupa dei PRG che non prevedono una moschea, ma solo chiese cattoliche, e li considera illegittimi.

Scrive il TAR: "Il Piano dei servizi, che ai sensi dell’art. 7 della l.r. 12/2005 è una delle articolazioni del PGT, ai sensi del successivo art. 9 comma 4 “valuta prioritariamente l'insieme delle attrezzature al servizio delle funzioni insediate nel territorio comunale… e, in caso di accertata insufficienza o inadeguatezza delle attrezzature stesse, quantifica i costi per il loro adeguamento e individua le modalità di intervento. Analogamente il piano indica… le necessità di sviluppo e integrazione dei servizi esistenti, ne quantifica i costi e ne prefigura le modalità di attuazione..”. Ai sensi degli artt. 71 e 72 della stessa l. 12/2005, fanno poi parte dei “servizi” che il relativo Piano deve considerare anche le “attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi”, da pianificare “valutate le istanze avanzate dagli enti delle confessioni religiose di cui all’articolo 70”.

15. Quest’ultima norma, infine, considera confessioni religiose le cui istanze vanno valutate non solo la Chiesa cattolica, ma anche tutte le altre “confessioni religiose come tali qualificate in base a criteri desumibili dall’ordinamento ed aventi una presenza diffusa, organizzata e stabile nell’ambito del comune ove siano effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo, ed i cui statuti esprimano il carattere religioso delle loro finalità istituzionali”. E’ poi del tutto manifesto che tali caratteri si riconoscono in una religione diffusa a livello mondiale come l’Islam.

16. La stessa norma richiama anche una “previa convenzione” fra le associazioni ed il Comune interessato, richiamo che però va interpretato in senso conforme alle norme che nel nostro ordinamento garantiscono la libertà di culto, ovvero l’art. 19 Cost., l’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, esecutiva in Italia per la l. 4 agosto 1955 n°848 e l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, o Carta di Nizza, 7 dicembre 2000, che come è noto ha ora il medesimo valore giuridico dei Trattati europei, ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007.

17. In tali termini, la stipula di una convenzione deve ritenersi richiesta per realizzare opere con “contributi e provvidenze” pubblici, non già semplicemente per essere presi in considerazione come realtà sociale ai fini della programmazione dei servizi religiosi, perché a pensarla altrimenti ogni Comune potrebbe scegliere in modo discrezionale di promuovere o avversare una qualche confessione religiosa rispetto ad altre.

18. Ciò posto, e a prescindere dalla generica possibilità, allegata dal Comune, di realizzare altrimenti i servizi religiosi in base alle norme comuni sulla modifica della destinazione d’uso di immobili esistenti, possibilità secondo logica dipendente dalle norme di zona, è accertato quanto l’associazione afferma, ovvero che (v. doc. 12 ricorrente, copia catalogo servizi esistenti; doc. 11 ricorrente, copia relazione generale al PGT, p. 92 § 10) nel redigere il Piano dei servizi sono stati considerati soltanto i servizi religiosi collegati alla Chiesa cattolica. Per conto, la presenza in Brescia di comunità di cittadini di religione musulmana è dato notorio a livello locale e nazionale.

19. La delibera di approvazione del PGT va pertanto annullata nella parte in cui omette di apprezzare, attraverso una corretta e completa istruttoria, quali e quante realtà sociali espressione di religioni non cattoliche, in ispecie islamiche, esistano nel Comune, di valutare le loro istanze in termini di servizi religiosi e di decidere motivatamente se e in che misura esse possano essere soddisfatte nel Piano dei servizi".

sentenzaTAR Brescia 1176 del 2013

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