E’ possibile integrare la mancanza della certificazione richiesta dall’art. 38 c. 1, lett. l), d. lgs. 163/2006?

17 Dic 2012
17 Dicembre 2012

Il concorrente partecipante ad una gara pubblica che non presenta il requisito di carattere generale previsto dall’art. 38, c.1, lett. l), D. Lgs. 163/2006, secondo cui: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:

l) che non presentino la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, salvo il disposto del comma 2” può produrla in corso di gara o deve essere escluso?

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza 10.01.2012 n. 31, sembra affermare la possibilità di integrare la mancata dichiarazione ex art. 38, c.1 lett. l, D. Lgs. 163/2006 laddove afferma che “in favore del privato non possano non soccorrere i fondamentali principi del favor partecipationis e della tutela dell'affidamento, con la conseguenza che, a fronte di una dichiarazione come quella resa dall'appellata, perfettamente ricalcante l'indicazione dello schema di domanda, risulti non applicabile l'esclusione dalla gara, potendo l'Amministrazione, in presenza di dubbi sulla reale portata di quanto dichiarato, considerare necessaria una regolarizzazione, sul piano formale, della dichiarazione stessa, ai sensi di quanto disposto dall'art. 46 del Codice Appalti, volto a dare rilevanza, anche nel testo anteriore al cd. Decreto Sviluppo (D.L. n. 70 del 2011), alle mancanze sostanziali, piuttosto che alle mancanze formali”. In realtà quanto detto si applica solamente laddove si è “in presenza di un facsimile di dichiarazione, che integralmente e oggettivamente faceva ritenere ad un concorrente di esaurire lo spettro degli obblighi afferenti al rispetto della legge sui disabili, deve applicarsi il principio, ancora recentemente ribadito da questa Sezione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 5 luglio 2011, n. 4029), secondo cui, anche se il criterio immanente del favor partecipationis, volto a favorire la più ampia partecipazione alle gare pubbliche, ha di norma carattere recessivo rispetto al principio della par condicio, tuttavia l'esigenza di apprestare tutela all'affidamento inibisce alla stazione appaltante di escludere dalla gara pubblica un'impresa che abbia compilato l'offerta in conformità al facsimile all'uopo da essa stessa approntato, potendo eventuali parziali difformità rispetto al disciplinare costituire oggetto di richiesta di integrazione, atteso che nessun addebito poteva a detta impresa essere contestato per essere stata indotta in errore, all'atto della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, dal negligente comportamento della stazione appaltante, che aveva mal predisposto la relativa modulistica”. Ciò è confermato anche dalla giurisprudenza più recente secondo cui, se la stazione appaltante predispone moduli per l’attestazione dei requisiti di partecipazione, eventuali omissioni o errori non possono riverberarsi a danno dei concorrenti che fanno affidamento sulla correttezza ed esaustività del modello predisposto dall’Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. V, 22.05.2012, n. 2973).

Lo stesso Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza del 16.03.2012 n. 1471, sancisce però in generale che “l'esclusione del partecipante che non abbia adempiuto all'obbligo di legge di rendere le dovute dichiarazioni ex articolo 38 Codice Appalti dovendosi intendere la norma di legge nel senso che l'esclusione dalla gara può essere disposta sia nel caso in cui la legge o il regolamento la comminino espressamente sia nell'ipotesi in cui la legge imponga "adempimenti doverosi" o introduca, come nel caso di specie, "norme di divieto" pur senza prevedere espressamente l'esclusione. In altri termini l'incompletezza o la falsità delle dichiarazioni prescritte dall'articolo 38, comma 1 e 2 e l'omessa osservanza degli adempimenti prescritti dalla legge determinano, per il chiaro tenore della legge, l'esclusione dell'operatore economico e dunque nessuno spazio può avere il dovere di soccorso”.

Concordemente l’AVC, con la determinazione n. 4 del 10 ottobre 2012, afferma che “A norma del comma 2 dell’art. 38, il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. La dichiarazione deve essere completa (cfr., sul punto, parte III, paragrafo 3, “Modalità di presentazione delle dichiarazioni sostitutive”); con particolare riferimento all’art. 38, comma 1, lett. c), la dichiarazione deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla entità del reato e/o dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete alla stazione appaltante.

Ai sensi dell’articolo 38, comma 2, secondo periodo, il concorrente non è tenuto ad indicare le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna né le condanne revocate né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione. Stante il chiaro disposto normativo, deve quindi ritenersi che, oltre all’ipotesi di falsità, l’omissione o l’incompletezza delle dichiarazioni da rendersi ai sensi dell’art. 38 da parte di tutti i soggetti ivi previsti costituiscono, di per sé, motivo di esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica anche in assenza di una espressa previsione del bando di gara (ex multis, parere AVCP 16 maggio 2012, n. 74 e Cons. St., sez. III, 3 marzo 2011, n. 1371). Le dichiarazioni sul possesso dei prescritti requisiti, pertanto, non possono essere prodotte ex post, qualora mancanti (cfr., da ultimo, Cons. St., n. 1471 del 16 marzo 2012)” (par. 2.1); mentre nel par. 3 si può leggere che “Quanto al contenuto della dichiarazione sostitutiva, questa deve avere i caratteri della completezza, correttezza e veridicità, sufficienti a dimostrare il possesso dello specifico requisito di gara e consentire il controllo ex post da parte della stazione appaltante”.

Si può dunque ritenere che, la mancata presentazione ab origine dei requisiti generali previsti dall’art. 38 c. 1, lett. l), D. Lgs. 163/2006, - così come degli altri requisiti previsti dal medsimo articolo - determina l’esclusione della gara del concorrente per carenza della documentazione che ex lege deve essere prodotta.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 31 del 2012

CdS n. 1471 del 2012

Decreto ministeriale sulla certificazione energetica degli edifici

17 Dic 2012
17 Dicembre 2012

Sulla Gazzetta Ufficiale del 13 dicembre 2012 è stato pubblicato il decreto  22 novembre 2012 del Ministero dello Sviluppo Economico, recante: "Modifica del decreto 26 giugno 2009, recante: «Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici.». (12A12945).

Decreto 2012 certificazione energetica

Solo in qualche parte d’Italia il piano casa si applica anche in sanatoria

14 Dic 2012
14 Dicembre 2012

La Legge Regionale Puglia 30 luglio 2009, n. 14, concernente “Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale” (c.d. Piano Casa), ha la finalità di regolamentare “l’esecuzione di interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione, anche in deroga alla pianificazione urbanistica locale, secondo le modalità e nei limiti previsti dalle norme seguenti” (art. 1, c. 2).

In particolare, l’art. 3, l. r. Puglia 14/2009 prevede che: “1. Possono essere ampliati, nel limite del 20 per cento della volumetria complessiva, e comunque per non oltre 200 m3, gli edifici residenziali e quelli di volumetria non superiore a 1.000 m3, alle condizioni e con le modalità seguenti:

a) sono computabili solo i volumi legittimamente realizzati. Le volumetrie per le quali sia stata rilasciata la sanatoria edilizia straordinaria di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), alla legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e al decreto - legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sono computate ai fini della determinazione della volumetria complessiva esistente. Nel caso in cui detta sanatoria sia stata rilasciata per ampliamenti di volumetria preesistente, la volumetria sanata deve essere detratta nel computo dell’ampliamento. Non devono essere detratte dal computo dell’ampliamento le volumetrie oggetto di sanatoria edilizia per mera variazione di destinazione d’uso;

b) l’ampliamento deve essere realizzato in contiguità fisica rispetto al fabbricato esistente, nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, si applicano altezze massime e distanze minime previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l’interno, 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765);

c) l’ampliamento deve essere realizzato conformemente alle norme riportate all’articolo 4, comma 4, lettere a), b) e c), e commi 18, 19 e 20, estesi questi ultimi a tutti gli interventi di cui all’articolo 3, comma 2, lettera c), numero 1, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia), del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2009, n. 59, in attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. 192/2005 e successive modificazioni. In ogni caso, l’unità abitativa esistente interessata dall’ampliamento deve essere munita di finestre con vetrature con intercapedini di aria o di gas”.

Il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, con la sentenza del 29 novembre 2012 n. 1949, applica l. r. Puglia 14/2009 in combinato disposto con l’art. 36 DPR 380/2001 - contenete la disciplina della sanatoria secondo la c.d. doppia conformità - per affermare l’ammissibilità della sanatoria per gli interventi realizzati sine titulo.

Sebbene l’Amministrazione dichiarasse espressamente che secondo la normativa regionale invocata, sono computabili solo i volumi legittimi, anche se a seguito di condono, atteso che la finalità e gli ambiti di applicazione della citata legge si riferiscono a interventi da realizzare, non già a quelli realizzati e abusivi, come nel caso di specie”, i giudici pugliesi, al contrario, hanno ritenuto che: “Invero, dal combinato disposto dell’art. 3, comma 1, lett. a) della l.r. 14/2009 e dell’art. 36 del d.P.R. n 380/2001, applicabile al caso in esame, emerge chiaramente che:

1. la disciplina regionale sul c.d. “Piano casa” consente un ampliamento degli edifici residenziali esistenti nei limiti del 20% della volumetria complessiva e, comunque, non oltre i mc. 200 (art. 3), anche in deroga alle previsioni quantitative della strumentazione urbanistica locale (art. 1, comma 2);

2. i “volumi legittimamente realizzati” costituiscono solo la base del calcolo del volume complessivo del fabbricato preesistente (che, dunque, può essere anche solo parzialmente abusivo e, per tale parte, non computabile) su cui commisurare l’ampliamento consentito del 20%, per il quale, nel caso specifico, è, appunto, chiesta la sanatoria;

3. tale disciplina si applica a tutti gli interventi eseguiti sotto la sua vigenza, con esclusione solo di quelli precedentemente realizzati;

4. l’Amministrazione comunale non è in grado di contestare, con certezza, la data dell’abuso dedotta dalla ricorrente, si dà farlo risalire a epoca antecedente all’entrata in vigore della normativa premiale;

5. in virtù del citato art. 36, T.U. edilizia - che richiede, per la sanatoria, la doppia conformità alla disciplina sostanziale di riferimento -, l’abuso in oggetto, meramente formale, risulta sanabile in quanto conforme alla disciplina edilizia vigente sia al momento della sua esecuzione che al momento della presentazione dell’istanza. Trova, infatti, applicazione, in entrambi i momenti storici, la legge regionale che consente un ampliamento pari al 20% del volume legittimo preesistente, nei cui limiti si pone, secondo assunto non contestato, l’intervento aggiuntivo “de quo”.

 In Veneto, è la stessa l. r. Veneto 14/2009 a sancire che il Piano Casa non può essere applicato in sanatoria: “Gli interventi previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non trovano applicazione per gli edifici:

e) anche parzialmente abusivi soggetti all'obbligo della demolizione" (art. 9, c. 1, lett. e), l. r. Veneto 14/2009).

A riguardo il T.A.R. Veneto, sez. II, 05.07.2012, n. 962, seppur con riferimento all’art. 38 DPR 380/2001 così si esprime: “In conclusione, la legge regionale n. 14/09 sul " piano casa " non poteva essere utilizzata per "regolarizzare" un immobile abusivo, a ciò ostando le finalità della legge ed il chiaro dettato dell'art. 9, lett. e)”.

 La medesima disciplina è detta altresì dalla l. r. Lazio 11 agosto 2009, n. 21 concerneteMisure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l'edilizia residenziale sociale” laddove prevede che :“1. Le disposizioni del presente capo si applicano agli interventi di ampliamento, di ristrutturazione e di sostituzione edilizia degli edifici di cui agli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 4, e 5 per i quali, alla data del 28 agosto 2011, sussista, alternativamente, una delle seguenti condizioni:

a) siano edifici legittimamente realizzati ed ultimati come definiti dall’articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modifiche ovvero, se non ultimati, abbiano ottenuto il titolo abilitativo edilizio;

b) siano edifici ultimati per i quali intervenga il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria entro il termine di cui all’articolo 6, comma 4.

2. Le disposizioni del presente capo non si applicano agli interventi di cui al comma 1 da effettuarsi su edifici realizzati abusivamente nonché:

a) su edifici situati nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR);

b) su edifici situati nelle aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta;

c) su edifici situati nelle aree naturali protette, con esclusione delle zone di promozione economica e sociale individuate nei piani di assetto delle aree naturali protette vigenti ovvero, in assenza dei piani di assetto, delle zone B individuate dalle leggi istitutive delle aree ai fini dell’applicazione delle disposizioni di salvaguardia ovvero, in assenza dell’individuazione delle zone B, nelle zone che nelle leggi istitutive delle aree naturali protette si considerano edificabili ai fini dell’applicazione delle norme di salvaguardia, fatto salvo in ogni caso il nulla osta del soggetto gestore dell’area naturale protetta;

d) su edifici situati nelle aree del demanio marittimo;

e) su edifici situati nelle zone di rischio molto elevato ed elevato individuate dai piani di bacino o dai piani stralcio di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) e successive modifiche e alla legge regionale 7 ottobre 1996, n. 39 (Disciplina Autorità dei bacini regionali) e successive modifiche, adottati o approvati, fatta eccezione per i territori ricadenti nei comprensori di bonifica in cui la sicurezza del regime idraulico è garantita da sistemi di idrovore;

f) su edifici situati nelle aree con destinazioni urbanistiche relative ad aspetti strategici ovvero al sistema della mobilità, delle infrastrutture e dei servizi pubblici generali nonché agli standard di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968;

g) su edifici situati nelle fasce di rispetto, come definite dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 1° aprile 1968, n. 1404, delle strade pubbliche, fatte salve le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, nonché nelle fasce di rispetto ferroviarie, igienico-sanitarie e tecnologiche;

h) su casali e complessi rurali, ancorché non vincolati dal PTPR, che siano stati realizzati in epoca anteriore al 1930”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Puglia, sez. III, n. 1949 del 2012

TAR Veneto, sez. II, 962 del 2012

La disciplina delle offerte anomale non si applica automaticamente alla concessione di servizi

14 Dic 2012
14 Dicembre 2012

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 4 dicembre 2012 n. 1474, dichiara che la disciplina sull’anomalia delle offerte prevista dall’art. 86 D. Lgs. 16372006 il quale prevede che: “1. Nei contratti di cui al presente codice, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte che presentano un ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media.

2. Nei contratti di cui al presente codice, quando il criterio di aggiudicazione è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara.

3. In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa.

3-bis. Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.
3-ter. Il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta.

4. Il comma 1 non si applica quando il numero delle offerte ammesse sia inferiore a cinque. In tal caso le stazioni appaltanti procedono ai sensi del comma 3” non si applica automaticamente alle concessioni di servizi.

L’art. 30, c. 1 e 7, D. Lgs. 163/2006, rubricato “Concessione di servizi”, infatti stabilisce che: “1. Salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi” (...) “7. Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile l'articolo 143, comma 7”.

Il T.A.R. Veneto  afferma che: “Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, la disciplina sull’anomalia delle offerte non si estende alle concessioni di servizi in quanto le disposizioni in esso contenute non si applicano ad esse, salvo quelle della Parte IV (sul contenzioso) e l’art. 143, comma 7 (durata della concessione superiore a trenta anni), in quanto compatibili; di conseguenza, per quanto attiene a dette concessioni, l’applicazione di norme, non direttamente richiamate dall’art. 30 del d. lgs. n. 163/2006, rientra nella stazione appaltante, la quale può decidere di auto vincolarsi ed assoggettarsi al sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta; tuttavia, ove la legge di gara non abbia fatto alcun richiamo alla procedura di anomalia dell’offerta, gli artt. 86-88 del codice degli appalti pubblici non possono trovare diretta applicazione (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 24 marzo 2011, n. 1784)”.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Veneto, 1474 del 2012

Il PRG può stabilire che la fascia di rispetto stradale non esprima una cubatura (e ciò non contrasta col codice della strada)

13 Dic 2012
13 Dicembre 2012

La questione è esaminata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 6319 del 2012.

L'interessato contestava l’art. 13 delle NTA del PRG, secondo il quale “le zone e le aree di rispetto non sono computabili ai fini dell’applicazione di indici di fabbricabilità o della calcolazione del rapporto di copertura”.

Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello, confermato la sentenza del TAR Puglia di Lecce n. 1798/2011, secondo la quale  il vincolo di inedificabilità relativo alla “fascia di rispetto stradale”, non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguardante una generalità di beni.

Scrive il Consiglio di Stato: "l’appellante affida le sue ragioni alla tesi della disapplicabilità della norma in preteso contrasto con l’art. 18 del Codice della strada e 28 del nuovo regolamento di esecuzione.

La tesi è tuttavia del tutto priva di fondamento: il presupposto della disapplicazione di atti normativi in contrasto con fonti sovraordinate, è che la fattispecie disciplinata sia sovrapponibile o assimilabile, talchè dinanzi ad un atto applicativo a carattere normativo che diverga dalla disciplina autorizzativa di base, anche il giudice amministrativo, secondo la prevalente, sia pur non unanime, giurisprudenza, può disapplicare l’atto amministrativo.

Non è questo il caso di specie. La previsione urbanistica impone una fascia di rispetto per esigenze che attengono all’ordinato ed armonico sviluppo del territorio, al decoro urbano, alla razionale distribuzione dell’abitato, che sono del tutto autonome rispetto alle esigenze di sicurezza che ispirano il regime delle distanze dettate da codice della strada".

D.M.

sentenza CDS 6319 del 2012

Il concorrente deve produrre la dichiarazione ex art. 38 D. LGS. 163/2006 anche se non ha pregiudizi da dichiarare

13 Dic 2012
13 Dicembre 2012

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 4 dicembre 2012 n. 1469, sancisce l’obbligo da parte del partecipante ad una gara pubblica di fornire sempre la dichiarazione sostitutiva attestante i requisiti previsti dall’art. 38 D. Lgs. 163/2006, non condividendo la tesi di parte resistente secondo cui l’omessa dichiarazione è da ritenersi irrilevante atteso che la comunicazione richiesta nel bando doveva riguardare i pregiudizi effettivamente esistenti in capo al concorrente e non la dichiarazione di assenza di situazioni pregiudizievoli: “Ritiene il Collegio che la previsione indicata dalla lex specialis circa la dichiarazione dei partecipanti di non trovarsi in alcuna situazione pregiudizievole indicata dall’art. 38 cit., non ha una mera valenza formale in quanto, da un lato facilita la stazione appaltante a riconoscere, subito, che i concorrenti difettano di pregiudizi penali e di prevenzione, dall’altro costituisce una remora, per i soggetti pregiudicati, dal partecipare alla gara.

Ritenere di converso che il concorrente possa e debba presentare l’indicata dichiarazione esclusivamente nella ipotesi di positiva esistenza di sfavorevoli precedenti, costituisce una interpretazione sostanzialistica della norma citata che, inoltre, contrasta con la lex concorsualis predisposta dalla stessa stazione appaltante.

Inoltre, nel caso di specie, l’omessa dichiarazione esclude che possa parlarsi di falso innocuo, che, a tutto voler concedere, può eventualmente configurarsi in caso di dichiarazione mendace o inesatta.

Il pacifico e costante insegnamento giurisprudenziale, che il Collegio non ha motivo di disattendere, individua, nella prevista dichiarazione, un aspetto essenziale ed imprescindibile della regolarità dell’offerta: “…Nelle procedure di evidenza pubblica la completezza delle dichiarazioni, invece, è già di per sé un valore da perseguire perché consente – secondo i principi di buon andamento dell'amministrazione e di proporzionalità - la celere decisione sull'ammissione dei soggetti giuridici alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile (anche perché solo incompleta) è da considerare già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara. In materia di appalti occorre invero poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara o alla sua esclusione. La dichiarazione ex art. 38 del d. lgs. n. 163/2006 è quindi sempre utile perché l'Amministrazione sulla base di quella decide in merito alla legittima ammissione alla gara …” ( Cons. St., sez. V, 8 novembre 2012, n. 5693)”.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Veneto, 1469 del 2012

Riequilibrio tra uomini e donne nei consigli e nelle giunte degli enti locali, nei consigli regionali e nelle commissioni di concorso

13 Dic 2012
13 Dicembre 2012

Sulla Gazzetta Ufficiale del 12 dicembre 2012 è stata pubblicata la LEGGE 23 novembre 2012 , n. 215, recante "Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunita' nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni. (12G0237)".

Legge 23.11.2012 n. 215

L’ascensore esterno non è una “costruzione” ex art. 873 del codice civile e non si applica l’art. 79, comma 2, del DPR 380/2001

12 Dic 2012
12 Dicembre 2012

Una signora con problemi di deambulazione ha chiesto di realizzare un ascensore esterno. La richiesta è stata respinta, perchè,  secondo il Comune, all’intervento osterebbe il disposto dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, a mente del quale in tema di realizzazione di opere finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche – e facendo eccezione all’ordinario regime di deroga alle norme sulle distanze – “è fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune”.

Il T.A.R. dell’Abruzzo,  con la sentenza n. 87 del 24 febbraio 2012, ha respinto il ricorso proposto dall'interessata avverso il diniego, evidenziando:

- che la tutela della salute e della vita di relazione dei soggetti portatori di handicap, pur rappresentando un valore di primaria importanza, non è assoluta e incondizionata, ma può subire limitazioni in ragione della tutela di valori di pari rilevanza;

- che, in particolare, il comma 2 dell’art. 79 testé citato dimostrerebbe che, a fronte di un’ordinaria prevalenza delle ragioni del portatore di handicap sugli interessi eventualmente contrastanti dei soggetti residenti nel medesimo edificio, non altrettanto potrebbe dirsi per gli immobili limitrofi, laddove il legislatore avrebbe ritenuto di assegnare prevalenza al loro diritto alla salute in funzione del quale risulta posta la norma di cui all’art. 873 cod. civ. (la cui ratio, come è noto, è quella di evitare la creazione di intercapedini dannose o pericolose);

- che nella specie, premesso che la realizzazione dell’ascensore avrebbe comportato il mancato rispetto della distanza minima di tre metri dal fabbricato confinante, non vi sarebbe spazio alcuno per un’applicazione dell’eccezione prevista dall’ultima parte della disposizione, atteso che fra i due immobili esiste sì un cortile, ma tale cortile non risulta essere in comproprietà fra di essi né risulta l’esistenza di servitù di passaggio comune.

Il Consiglio di Stato, però, ha deciso in senso opposto, con la sentenza n. 6253 del 2012, scrivendo che:

"Innanzi tutto, il Collegio reputa fondato il primo motivo di appello nella parte in cui si sostiene l’estraneità dell’ascensore oggetto della richiesta di permesso di costruire alla nozione di “costruzione” di cui all’art. 873 cod. civ., e quindi l’inapplicabilità ad esso delle disposizioni in tema di distanze dallo stesso poste.

Ed invero, alla stregua della giurisprudenza più recente l’impianto di ascensore – al pari di quelli serventi alle condotte idriche, termiche etc. dell’edificio principale – rientra fra i volumi tecnici o impianti tecnologici strumentali alle esigenze tecnico-funzionali dell’immobile (cfr. Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 2011, nr. 2566).

4. Ma, anche al di là di quanto sopra, appare condivisibile l’impostazione sviluppata nel secondo mezzo, secondo cui, nell’interpretazione dell’eccezione alla regola del rispetto delle distanze posta dall’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001, non può prescindersi dal tener conto dell’inserimento della norma – come già rilevato - all’interno della disciplina volta all’eliminazione delle barriere architettoniche nell’interesse dei soggetti portatori di handicap.

Ciò rileva non solo e non tanto ai fini di un astratto bilanciamento di interessi, come quello cui ha proceduto il primo giudice (e al quale gli odierni appellanti, soprattutto col terzo mezzo, contrappongono un opposto bilanciamento), quanto soprattutto nell’accezione da dare a locuzioni ed espressioni tecniche impiegate dal legislatore, quali quella di “spazio o area di proprietà o di uso comune”, le quali non possono essere recepite in un’ottica strettamente civilistica, ma vanno calate nell’ambito della normativa tecnica esistente in subiecta materia.

Sotto tale profilo, soccorre il d.m. 14 giugno 1989, nr. 236, contenente la normativa regolamentare a suo tempo adottata in attuazione della legge 9 gennaio 1989, nr. 13, e che ancora oggi costituisce il riferimento dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001 (nel quale la predetta legge è confluita).

L’art. 2 del citato decreto contiene una serie di definizioni tecniche utili all’applicazione della normativa de qua e, in particolare, qualifica come “spazio esterno (...) l’insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici” (lett. F) e come “parti comuni dell’edificio (...) quelle unità ambientali che servono o che connettono funzionalmente più unità immobiliari” (lett. E).

Applicando tali coordinate interpretative all’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, risulta chiaro come il legislatore, nel far riferimento a spazi o aree “di proprietà o di uso comune”, ha inteso richiamare non soltanto il dato giuridico dell’esistenza di una comproprietà o di una servitù di uso comune, ma anche il semplice dato materiale dell’esistenza di uno spazio comunque denominato, che per le sue caratteristiche si presti a essere impiegato dai residenti di entrambi gli immobili confinanti; ed è appena il caso di aggiungere che la definizione della lettera E non presuppone affatto che le “unità immobiliari” cui essa fa riferimento debbano necessariamente essere parte di un medesimo edificio (ché, anzi, dal combinato disposto di detta definizione con quella di cui alla successiva lettera F si ricava che uno spazio esterno comune può certamente interessare anche “più edifici”).

Con riguardo al caso di specie, se è vero che il cortile esistente fra i due immobili e nel quale dovrebbe insistere l’ascensore per cui è causa non risulta essere in comproprietà fra i due condomini, non risulta però contraddetto l’assunto degli appellanti secondo cui esso risulta de facto utilizzato materialmente e per la sua interezza dai residenti di entrambi gli immobili; per vero, il T.A.R. si è limitato a rilevare l’esistenza di un confine catastale che dividerebbe a metà il cortile medesimo, senza però che questo risulti tagliato da muro o recinzioni (unico elemento che sarebbe idoneo a escluderne l’ “uso comune” nel senso sopra precisato).

Ne discende che non poteva il Comune denegare il rilascio del permesso di costruire per il mancato rispetto delle distanze di cui all’art. 873 cod. cov., applicandosi in ogni caso l’ulteriore deroga di cui all’ultima parte del comma 2 dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001".

D.M.

sentenza CDS 6253 del 2012

Nota sulla fusione dei Comuni nel Veneto

12 Dic 2012
12 Dicembre 2012

Ai sensi degli articoli 117 e 133, comma 2, della Costituzione, le Regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei Comuni, sentite le popolazioni interessate, nelle forme previste dalla legge regionale. Salvo i casi di fusione tra più Comuni, non possono essere istituiti nuovi Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri Comuni scendano sotto tale limite. La competenza regionale viene ribadita anche dall’art. 15 del T.U.E.L. ove si stabilisce che “le Regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate”. Unico limite posto alla normativa regionale è “alla comunità di origine o ad alcune di esse siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di  decentramento dei servizi”. Al fine di favorire la fusione, oltre ai contributi regionali, lo Stato eroga per i 10 anni successivi appositi contributi straordinari. La Legge regionale 24 dicembre 1992, n. 25 “Norme in materia di variazioni provinciali e comunali” disciplina, per quanto di competenza regionale, le variazioni delle circoscrizioni dei Comuni e delle Province, nonché il mutamento della denominazione dei Comuni.

Le variazioni delle circoscrizioni comunali possono consistere anche nella fusione di due o più Comuni in uno nuovo. Tali variazioni possono essere conseguenti al processo istituzionale avviato mediante l’Unione di Comuni.

Ai sensi dell'art. 4 l’iniziativa legislativa spetta ad almeno settemila elettori, ad ogni consigliere regionale, alla Giunta regionale, al Consiglio delle autonomie locali. Quando uno o più comuni, anche nel loro insieme, non acquisiscano titolo all'esercizio del potere di iniziativa legislativa comunale, i relativi Consigli possono presentare le loro richieste di variazione alla Giunta regionale, che, entro sessanta giorni, trasmette al Consiglio regionale il corrispondente disegno di legge o respinge la richiesta, dandone comunicazione motivata alla competente commissione consiliare. 

Ai sensi dell’art. 5 della stessa legge, quando il progetto di legge presentato al Consiglio regionale è conforme al programma regionale, la Giunta regionale delibera il referendum consultivo delle popolazioni interessate e il relativo quesito, previa individuazione delle popolazioni stesse ai sensi dell’articolo 6 (“..Quando si tratti della variazione delle circoscrizioni comunali per fusione di comuni ai sensi della lettera d) dell’articolo 3, il referendum deve in ogni caso riguardare l’intera popolazione dei comuni interessati”).

La Legge Regionale n. 18 del 27.04.2012 ad oggetto “Disciplina dell’esercizio associato di funzioni e servizi comunali”, volta a realizzare un piano di riordino territoriale a seguito della disposizioni del succitato Decreto Legge n. 78 del 31.05.2010 convertito con modificazioni dalla Legge n. 122 del 30.07.2010 e del decreto legge n. 138 del 13.08.2011 convertito con modificazioni dalla Legge n. 148 del 14.09.2011, promuove e sostiene l’esercizio in forma associata di funzioni e servizi comunali, nonché la fusione di Comuni, facendo rientrare questa ultima nei criteri di preferenza in sede di ripartizione delle risorse finanziarie che la Regione Veneto stanzia a favore dell’esercizio associato delle funzioni e servizi comunali.

Dott.sa Giada Scuccato

 La fusione tra comuni nel Veneto

 

 

 

La dichiarazione fatta in una domanda di partecipazione ex art. 46 e 47 del d.P.R. n. 445/2000 dal legale rappresentante di una impresa ha valore di dichiarazione sostitutiva di certificazioni e/o di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà riferibile anche al soggetto, persona fisica, che l’ha specificamente sottoscritta

12 Dic 2012
12 Dicembre 2012

In merito ad una domanda di partecipazione alla gara sottoscritta e presentata personalmente dal «legale rappresentante», ove costui ha dichiarato «ai sensi degli artt. 46-47 del d.P.R. n. 445 del 2000, che l’impresa non si trova in alcune delle condizioni di esclusione previste dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006», specificando altresì la sussistenza di tutte le condizioni negative e positive prescritte dalla norma in questione, la sentenza del 3 dicembre 2012, n. 1463, il T.A.R. Veneto sez.1, ha stabilito che la sottoscrizione personale così come la formulazione della dichiarazione contenuta nella domanda di partecipazione sopra riportata costituiscono elementi che, in base ad un’interpretazione ispirata agli ordinari criteri di logica e ragionevolezza, smentiscono, già sul piano formale, l’assunto della ricorrente secondo il quale nel caso in esame difetterebbe tout court una dichiarazione in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale previsti dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 proveniente, personalmente, dal dott.

Infatti, pur essendo riferita all’«impresa», la dichiarazione risulta effettuata espressamente ai sensi degli artt. 46-47 del d.P.R. n. 445 del 2000, con conseguente valore di dichiarazione sostitutiva di certificazioni e/o di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà riferibile anche al soggetto, persona fisica, che l’ha specificamente sottoscritta in veste di legale rappresentante della società.”.

dott.sa Giada Scuccato

sentenza TAR Veneto 1463 del 2012

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