Convegno di Venetoius su PAI e altre complicazioni: crediti formativi

17 Mag 2013
17 Maggio 2013

Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza ha riconosciuto 4 crediti formativi alla partecipazione al convegno organizzato da Venetoius per il 31 maggio 2013  su PAI, terre e rocce da scavo e pubblicazioni obbligatorie.

LOCANDINA convegno 31 maggio 2013

Il D.M. del 1968 prevale anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme e va applicato anche a corpi distinti di un’unica costruzione, compresa l’ipotesi di sopraelevazione

17 Mag 2013
17 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, Sez. IV ,  in data 8 maggio 2013, con al sentenza n. 2483, si è espresso sui presupposti per ritenere applicabile la distanza di 10 metri tra parete finestrata e parete dell’edificio antistante ex art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968.

La tesi del Comune, smentita dal Consiglio di Stato, considerava il progetto de quo come una mera “sopraelevazione” riconducibile, al più, ad un intervento di “nuova ristrutturazione” e non già di “nuova costruzione”, con la conseguente applicazione in tale ultimo caso soltanto della distanza di m. 10 da corpi antistanti.

Nella sentenza si legge che: “Va, infatti, in primo luogo evidenziata l’intrinseca contraddittorietà della tesi dell’Ascheri secondo la quale la distanza di m. 10 non si applicherebbe alle ipotesi di “edificio unico”, come – per l’appunto – nel caso in esame, posto che l’Ascheri medesimo ha ben più fondatamente sostenuto per l’innanzi, anche con l’adesione di questo stesso giudice, che l’edificio di cui trattasi non costituisce un “condominio” ma due unità abitative tra di loro autonome. Ma, soprattutto, è assorbente la constatazione, derivante dalla giurisprudenza dianzi citata, che l’art. 9 del D.M. 1444 del 1968, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra parete finestrata e corpo edificato, è norma di ordine generale, prevalente anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme, e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civ., Sez. II, 27 marzo 2001 n. 4413).”

dott.sa Giada Scuccato

CDS 2483-2013

La violazione dell’obbligo di custodire le offerte rileva se è verosimile o probabile che sia avvenuta una qualche forma di manomissione

17 Mag 2013
17 Maggio 2013

 Il T.A.R. Veneto, nella sentenza n. 593/20103, afferma che la violazione dell’obbligo di adeguata conservazione dei plichi contenenti le offerte di gara, deve essere formulata in modo specifico e non generico, poiché occorre “l’allegazione di specifici elementi atti a far ritenere verosimile o probabile che sia avvenuta una qualche forma di manomissione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 25 febbraio 2013, n. 1169)”.

La sentenza da ultimo citata, infatti, è chiara nel confermare “l’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. III, 25 novembre 2011 n.6266; III, 13 maggio 2011 n.2908; V, 7 luglio 2011 n.4055; V, 5 ottobre 2011 n.5456) secondo il quale, ove si lamenti la mancata, idonea custodia delle buste contenenti la documentazione di gara e delle offerte, spetta al deducente suffragare l’assunto con elementi circostanziati o quantomeno sintomatici, tali da far ritenere verosimile o altamente probabile che la condotta dell’amministrazione possa avere dato adito a manomissioni e che in mancanza di deduzioni specifiche ogni censura avanzata in proposito è affetta da assoluta genericità.

 Nella fattispecie Tecnologie Sanitarie, né al momento del ricorso in primo grado, né nel corso dell’appello incidentale, ha mai individuato, nemmeno in via di ipotesi, una qualche manomissione degli atti di gara, né ha indicato sospetti verso un qualsiasi elemento della documentazione a corredo presentata dalla Tea o da altre ditte che potesse essere stato oggetto di alterazione o contraffazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

Strada privata con servitù di uso pubblico: la servitù di U.P. e la destinazione a O.U. primaria non bastano al Comune per consentire l’apertura di passi carrai ai terzi

16 Mag 2013
16 Maggio 2013

Lo stabilisce il Consiglio di Stato nella sentenza n.  2416 del 2013.

Tenendo conto di tale orientamento, ai Comuni conviene inserire nelle convenzioni urbanistiche o negli atti unilateriali d'obbligo la clausola pattizia contenente il consenso del proprietario della strada a costituitre non solo la servitù di uso pubblico a favore del Com,une, ma anche  a favore di tutti i frontisti. Altrimenti i lotti frontisti possono essere considerati come interclusi, vale a dire privi di accesso.

Scrive il Consiglio di Stato: "2. Il thema decidendum consiste nello stabilire se legittimamente l’amministrazione comunale possa, in sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso – carrabile e pedonale – da un’area privata su una strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso (anzi: vi sia l’espresso dissenso) da parte del proprietario.

2.1. Ad avviso del Collegio, la sentenza è meritevole di conferma laddove ha ritenuto che al quesito debba essere fornita risposta in senso negativo.

Al riguardo si osserva in primo luogo:

- che è pacifico in atti che la via Ateleta è un’arteria viaria in parte di proprietà comunale e in parte di proprietà della cooperativa edilizia appellata e che essa si configura – almeno in parte – come strada privata di suo pubblico in quanto consente il collegamento fra due strade piuttosto importanti per la viabilità cittadina (la Via Abruzzo e la Via della Scuola);

- è parimenti pacifico che l’accesso pedonale e carrabile che il Comune ha ammesso da e per il complesso immobiliare della società appellante ricade in toto nella porzione della via Ateleta di proprietà della cooperativa appellata (in tal senso depone, oltretutto, la relazione tecnica che il primo giudice ha demandato al dirigente del Settore Viabilità – Mobilità della provincia dell’Aquila).

2.2. Ora, risulta in atti che sia sorta fra le parti private una controversia avente ad oggetto la delimitazione della consistenza dei reciproci diritti sulla strada in questione e che essa sia stata definita con sentenza del Tribunale civile dell’Aquila n. 202 del 2009, il quale si è espresso nei termini che seguono: “l’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”; pertanto, “ [l’assoggettamento] ad uso pubblico della strada Ateleta (…) non poteva certamente legittimare la resistente, una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di passaggio”.

Ritiene il Collegio le conclusioni cui è pervenuto il giudice civile siano condivisibili e applicabili anche ai fini della definizione della presente controversia, nel cui ambito la questione relativa alla delimitazione dei diritti e degli obblighi delle parti private in lite viene in rilievo in quanto incide sulla legittimità degli atti abilitativi rilasciati dall’amministrazione comunale.

In particolare, la sentenza civile è condivisibile laddove ha osservato che la compressione delle prerogative del proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla strada di uso pubblico.

Si osserva, d’altronde, che se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di costruire all’autorità amministrativa sia consentito costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire il passaggio) indipendentemente dal consenso del proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione di una servitùsostanziale (quale quella che consente il passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053 del medesimo Codice.

2.3. Si osserva, inoltre, che le conclusioni richiamate non sono in contrasto con i princìpi enucleati dalla sentenza di questo Consiglio di Stato, quinta sezione, 9 giugno 2008, n. 2864 (espressamente richiamata nell’atto di appello).

Si osserva al riguardo:

- che quella sentenza ha compendiato i princìpi giurisprudenziali in tema di presupposti e condizioni per l’assoggettamento all’uso pubblico di una strada privata, ma non ha trattato la questione (che qui viene in rilievo) relativa al se tale assoggettamento ad uso pubblico comporti altresì che l’amministrazione possa – in assenza o in contrasto con la volontà del proprietario – consentire un accesso ad uso esclusivamente privato sull’area;

- che, se per un verso è vero che la sentenza in parola ha affermato che l’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata comporta che questa diviene soggetta alla normale disciplina stradale “e la proprietà privata si riduce al fatto che l'area ritornerebbe nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse la destinazione stradale”, per altro verso essa non ha affatto affermato che ciò comporti necessariamente la possibilità di adottare in modo legittimo atti di carattere abilitativo quale quello impugnato in primo grado. Anzi, se si portasse alle estreme conseguenze di sistema l’assunto dell’appellante, si giungerebbe alla conclusione (invero inammissibile) secondo cui, anche una volta venute meno le condizioni che hanno comportato l’assoggettamento ad uso pubblico della strada, non verrebbe meno l’impropria forma di servitù in tal modo costituita (lo si ripete: in assenza di una fonte legale o volontaria di costituzione ai sensi dell’articolo 1032 del Codice civile).

3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Per le medesime ragioni deve altresì essere respinto l’appello incidentale proposto dal Comune dell’Aquila il quale (coma anticipato in narrativa) risulta basato essenzialmente sulla tesi secondo cui il primo giudice non avrebbe adeguatamente valutato ai fini del decidere la circostanza per cui la via Ateleta sia qualificabile come strada privata ad uso pubblico, nonché come opera di urbanizzazione primaria nell’ambito del complessivo piano di gestione territoriale".

sentenza CDS 2416 del 2013

Soltanto il protocollo dell’Ente attribuisce certezza sull’an e sul quando dell’acquisizione di un documento

16 Mag 2013
16 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. 2359 del 30 aprile 2013 ha stabilito che: “si debba attribuire rilievo al decorso del tempo (per la verifica della formazione di un silenzio della pubblica amministrazione o del mancato esercizio di un potere di riesame), tranne i casi espressamente tipizzati dalla legge, non rileva di per sé la rilevazione su un foglio dei dati di ‘ricezione di un fax’ o l’apposizione di un generico timbro: ha rilievo la data attestata dal protocollo, facente fede fino a querela di falso, soltanto dopo la quale comincia a decorrere il termine entro il quale il potere può essere esercitato. Del resto, il fatto che solo l’acquisizione in via ufficiale al registro di protocollo dell’Ente possa garantire la necessaria certezza sull’an e sul quando dell’acquisizione di un determinato documento risulta viepiù confermato nel caso di specie, per i profili di incertezza che emergono dall’esame del documento versato in atti”.

dott.sa Giada Scuccato

cds 2359-2013

Responsabilità della P.A: sul ricorrente incombe l’onere della prova di tuti gli elementi costitutivi dell’illecito

16 Mag 2013
16 Maggio 2013

Con la sentenza n. 2388 del 2 maggio 2013, il Consiglio di Stato, sez. V, si è espresso sull’onere della prova dell'illecito della P.A. nel processo amministrativo, ribadendo che lo stesso spetta al ricorrente.

Si legge infatti che: “Anche nel giudizio amministrativo, invero, spetta al ricorrente, che assume di aver subito un danno dall’adozione di un provvedimento illegittimo o anche da un comportamento della pubblica amministrazione, l’onere della prova, secondo il principio generale fissato dall’art. 2697 c.c. (ex multis, C.d.S., sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; 18 gennaio 2006, n. 112; sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5747; 22 agosto 2006, n. 4932; 27 febbraio 2006, n. 835), non potendo a tanto supplire il soccorso istruttorio del giudice, trattandosi di prove che sono nella piena disponibilità della parte. E’ stato ripetutamente sottolineato, in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, che l’ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà il giudice procedere ad accertare che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto (in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento); che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della pubblica amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa (ex pluribus, Cass. Civ., sez. III, 28 ottobre 2011, n. 22508; 23 febbraio 2010, n. 4326).”

dott.sa Giada Scuccato

CDS 2388-2013

Sentenze sul P.I.: previsioni regolative, operative e programmatiche del PI

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Previsioni regolative, operative e programmatiche del PI

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 688, si occupa della distinzione tra le previsioni urbanistiche regolative, quelle operative e programmatiche del Piano degli Interventi, chiarendo che: “A ciascuna tipologia di prescrizioni è assegnata una funzione precisa, in rapporto alle esigenze di disciplina dell’organizzazione del territorio, immediata o programmata nel tempo, nello spirito di attuazione delle previsioni contenute nel PAT.

E’ così stato previsto che per quanto riguarda il normale esercizio dell’attività conformativa del territorio da parte dell’autorità comunale dovranno essere osservate le prescrizioni regolative, riferite in modo particolare all’attività edilizia della città esistente e del territorio aperto: trattasi quindi della disciplina ordinaria, di gestione della situazione esistente al momento dell’approvazione del piano.

Le altre due tipologie sono invece rivolte a disciplinare l’attività edilizia nella prospettiva di realizzare interventi di trasformazione ed espansione dell’esistente: trattasi di attività programmate sulla base di previsioni quinquennali, quindi di previsioni interessanti interventi che avranno realizzazione nel tempo, nell’ottica di trasformazione della realtà esistente, seguendo gli obiettivi indicati dal PAT (previsioni operative) ovvero di previsioni di più ampio periodo, che superano il quinquennio, e che dovranno tenere conto anche degli sviluppi ed integrazioni dello stesso Piano degli Interventi (previsioni programmatiche).

Per quanto riguarda in particolare le previsioni operative, che individuano le aree e gli immobili nei quali sarà possibile realizzare gli interventi di trasformazione dell’esistente o di espansione, è prevista l’applicazione della normativa dettata dalla legge regionale n. 11/2004, consentendo la presentazione da parte dei soggetti privati di “manifestazioni di interesse” che, una volta ritenute ammissibili in quanto compatibili con il PAT e gli obiettivi dell’amministrazione, contribuiranno ad integrare la disciplina dettata dal PI, mediante l’elaborazione di una “scheda norma”, che provvederà a regolare direttamente l’area di riferimento, sostituendosi alle norme di piano.

Appare quindi evidente il rapporto intercorrente fra le previsioni di tipo regolativo e quelle di tipo operativo, anche da un punto di vista temporale: con le prime si intende disciplinare la situazione esistente al momento della elaborazione del piano degli interventi, con le seconde si intendono disciplinare, favorendo la collaborazione con i privati, le operazioni di trasformazione e di espansione del territorio.

In quest’ottica, appare chiara la funzione di sostanziale “salvaguardia” affidata alle prescrizioni regolative, affinché, nell’attesa dell’attuazione degli interventi di trasformazione previsti dal piano, non intervengano modifiche tali da compromettere il raggiungimento degli obiettivi di programmazione urbanistica”.

La sentenza del TAR Veneto sul P.I. citata in questo post è allegata al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

Sentenze sul P.I.: le scelte urbanistiche ed il commercio

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22.06.2012 n. 877, si occupa del rapporto tra le scelte urbanistiche e la disciplina in materia di commercio, chiarendo che legittimamente il Comune può imporre - tramite le norme del PI - ad una attività commerciale la vendita al dettaglio dei soli prodotti realizzati nel loco dell’insediamento produttivo: “Premesso che, come correttamente osservato dalla difesa del Comune, la disciplina in materia di commercio non incide né condiziona di per sé le scelte di carattere urbanistico, di modo che, indipendentemente dal fatto che l’attività di vendita nei cd. esercizi di vicinato sia stata liberalizzata, nulla impedisce che il Comune organizzi il proprio territorio stabilendo che solo tale tipologia di attività vengano ammesse in un determinato ambito;

ciò permesso in termini generali, è tuttavia da rilevare che la richiesta di annullamento dell’emendamento apportato alle previsioni del PI, nei termini ritenuti pregiudizievoli per la ricorrente, in caso di accoglimento, non sortirebbe alcun effetto favorevole per l’istante, atteso che verrebbe a riassumere efficacia la precedente determinazione che non aveva accolto la richiesta di modifica proposta in sede di osservazioni dalla ricorrente, finalizzata a rendere possibile presso le grandi strutture produttive la vendita in loco dei prodotti realizzati”.

La sentenza del TAR Veneto sul P.I. citata in questo post è allegata al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

Sentenze sul P.I.: le scelte urbanistiche e il rapporto con l’affidamento dei privati e con la motivazione

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 09 maggio 2013 n. 689, conferma che le scelte urbanistiche rientrano nella discrezionalità dell’ente; tuttavia, laddove vi è un (precedente) affidamento qualificato del privato, esse necessitano di una motivazione specifica e puntuale atteso che: “Secondo i consolidati principi, infatti, le scelte di ordine urbanistico sono riservate alla discrezionalità dell'amministrazione, cui compete il coordinamento di quelle esigenze che nella concreta realtà si presentano in modo articolato, con la conseguenza che nell'adozione di un atto di programmazione territoriale avente rilevanza generale l'amministrazione stessa non è tenuta a dare specifica motivazione delle singole scelte operate, che trovano giustificazione nei criteri generali di impostazione del piano, a meno che sulla precedente disciplina urbanistica siano state fondate specifiche aspettative, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto (per tutte, Cons. Stato, IV, 4 maggio 2010, n. 2545).

Tali evenienze generatrici di affidamento "qualificato", sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, laddove insussistenti, fanno sì che non sia configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria, ma una mera spes, e quindi solo l'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri all'utilizzazione più proficua dell'immobile, posizione cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell'Amministrazione; onde non può essere invocata la c.d. polverizzazione della motivazione, la quale si porrebbe in contrasto con la natura generale dell'atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 24 del 1999; idem, cit., sez. IV, n. 5210 del 2007; Cons.Stato, sez. III, 6 ottobre 2009,n. 1610; idem, sez. IV, 12 maggio 2010 , n. 2843; T.A.R.Umbria, 12 luglio 2007 , n. 554, Tar Campania, Napoli, sez. V, 3 giugno 2008 , n. 5222).

Per altro verso, le osservazioni presentate dagli interessati in merito alle varianti di piano assumono, come noto, valore di apporto collaborativo, il cui rigetto non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.

Infine, la valutazione dell'idoneità delle aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, rientra nei limiti dell'esercizio del potere discrezionale, rispetto al quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è configurabile neppure il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basato sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti. (cfr. per tutte, C.d.S, VI, 17.2.2012, n. 854).

Trattasi quindi dell’espressione di un potere di scelta, a carattere discrezionale, rispetto al quale non è ipotizzabile - in relazione a zone contigue od affini che siano assoggettate a regimi diversi - un'identità di posizioni soggettive ed oggettive che costituisce il presupposto per poter configurare il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento" (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 19 novembre 2003 , n. 1602; T.A.R. Valle d’Aosta, 2.11.2011, n. 72)”.

Quanto esposto è confermato anche nella sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, 09 maggio 2013 n. 677, laddove si afferma che: “1.3.1.Va a questo punto premesso che per consolidato orientamento giurisprudenziale le scelte effettuate dalla P.A. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale, sono insindacabili nel merito e per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle stesse.

In effetti, disegnare in uno o in altro modo lo sviluppo dell’abitato, così come stabilire se un terreno debba essere utilizzato come area per strutture sportive o come lotto edificabile, sono fatti tecnicamente non vincolati né in alcun modo predeterminabili.

1.3.2. In ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano.

1.3.3. Sempre al riguardo, giova rammentare che le scelte adottate per ciò che attiene la destinazione delle singole aree non necessitano di una specifica motivazione se non nel caso che la scelta vada ad incidere negativamente su posizioni giuridicamente differenziate ravvisabili unicamente però nell’esistenza di piani e/o progetti di lottizzazione convenzionati già approvati o situazioni di diverso regime urbanistico accertate da sentenze passate in giudicato” ed ancora: “1.3.4. Peraltro, la giurisprudenza amministrativa ha sempre affermato che non è invocabile, in materia, una sorta di diritto alla immutabilità della classificazione urbanistica dell’area di proprietà, e che la preesistente destinazione urbanistica non impedisce l’introduzione di previsioni di segno diverso in virtù dell’esercizio di uno jus variandi pacificamente riconosciuto all’Amministrazione. Ed inoltre, che la posizione del proprietario assume un contenuto di semplice aspettativa, senza che perciò, possa configurarsi a carico dell’Ente locale un onere di specifica motivazione in ordine alla disposta variazione urbanistica dell’area, ben potendo soccorrere al riguardo l’esposizione delle ragioni di carattere generale sottese alle scelte di gestione del territorio comunale (cfr Ad. Pl. n.24 del 22/12/1999)”.

In particolare, per quanto concerne la disparità di trattamento, il T.A.R. Veneto n. 677/2013 sottolinea che: “Anche tale doglianza è infondata, poiché le scelte urbanistiche hanno un effetto necessariamente disuguagliante, piuttosto, in questa materia, la regola è paradossalmente la disparità di trattamento, non essendo possibile pianificare l’uso del territorio senza differenziare le varie sue parti, valorizzandole alcune, destinandole ad esempio all’edilizia privata, e mettendone altre più o meno direttamente al loro servizio. In altri termini, poiché il piano ha come oggetto principale quello di attribuire destinazioni di aree, che non possono essere comunque le stesse, esso riveste necessariamente un carattere discriminatorio.

Conseguentemente, non possono avere ingresso in tale materia censure basate sulla disparità di trattamento.

In tal senso si veda la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale “la scelta amministrativa sottesa all’esercizio del potere di pianificazione di settore deve obbedire solo al superiore criterio di razionalità nella definizione delle linee dell’assetto territoriale, nell’interesse pubblico alla sicurezza delle persone e dell’ambiente, e non anche ai criteri di proporzionalità distributiva degli oneri e dei vincoli, con la conseguenza che in relazione ad essa non può prospettarsi una disparità di trattamento.” (Cons. St. n. 3358/2008)”.

Inoltre, se il rigetto delle osservazioni presentate dai privati in sede di redazione degli strumenti urbanistici non richiede specifica motivazione poiché: “Ora, è nota la giurisprudenza relativa alla mancanza di necessità di idonea e specifica motivazione di reiezione sulle osservazioni dei privati nella adozione degli atti pianificatori. Ciò in quanto le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (ex plurimis, Consiglio Stato, IV, 21.5.2007, n.2577)” (cfr. T.A.R. Veneto, n. 677/2013) , le scelte (urbanistiche) discrezionali dell’ente possono essere sindacate dinanzi al Giudice amministrativo laddove sintomatiche del vizio dell’eccesso di potere, come sancisce il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 678, secondo cui: “7.1 Un costante orientamento giurisprudenziale ha di frequente ricordato (per tutti Cons. Stato Sez. IV, 26-05-2003, n. 2827) che anche nei provvedimenti che incidono sul merito sussistono precisi obblighi di motivazione e, ciò, laddove si è evidenziato che “la variante ad un piano regolatore deve essere motivata quando le nuove scelte incidono su legittime aspettative del privato”.

7.2 La stessa giurisprudenza di merito ha sottolineato come l’esistenza di un’attività produttiva determina l’insorgere di un limite al potere pianificatorio del Comune e, ciò, considerando che la nuova scelta urbanistica, tutte le volte che va ad incidere su posizioni consolidate dei privati, deve essere assistita da una puntuale e specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico ritenuto prevalente sul mantenimento dell’attività produttiva (T.A.R. Lombardia Brescia, 06-04-2004, n. 404).

7.3 E’ del tutto evidente che la discrezionalità del potere comunale di pianificazione del territorio trova un limite tutte quelle volte che le modifiche vanno ad incidere su posizioni consolidate di privati o, ancora, su legittime aspettative di conservazione delle destinazioni in atto. Detta circostanza finisce per correlare l’esercizio del potere discrezionale all’espressione di un’adeguata ponderazione degli interessi coinvolti che, in quanto tale, permetta di comprendere le ragioni alla base di detta nuova classificazione e i motivi in relazione ai quali si ritiene di imporre determinati sacrifici al privato in funzione di un determinato interesse pubblico perseguito.

7.4 Come ha confermato anche una recente pronuncia (Cons. Stato Sez. IV, 09-10-2012, n. 5257)L'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi va inquadrato, senza formalismi, nel contesto complessivo del procedimento, nell'ambito del quale si devono collocare, logicamente e giuridicamente, tutti i presupposti - intesi come fatti storici - che hanno presidiato l'attività procedimentale e che erano comunque storicamente conosciuti dall'interessato nell'ambito di un rapporto di causa-effetto. Il difetto di motivazione, pur restando sempre e comunque un vizio di legittimità sul piano formale, per sua natura costituisce lo strumento tipico per l'analisi funzionale del provvedimento. Il difetto di motivazione, quindi, nell'ottica sostanziale sull'azione amministrativa, ha rilievo quando - menomando in concreto i diritti del cittadino ad un comprensibile esercizio dell'azione amministrativa - costituisce un indizio sintomaticamente rivelatore del mancato rispetto dei canoni di imparzialità e di trasparenza, di logica, di coerenza interna e di razionalità; ovvero appaia diretto a nascondere un errore nella valutazione dei presupposti del provvedimento”. 

Le sentenze del TAR Veneto sul P.I. citate in questo post sono allegate al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

Sentenze sul P.I.: il P.I. può modificare la destinazione di un’area impressa dal precedente PAT?

15 Mag 2013
15 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 683, dichiara che, ex art. 17, c. 2, L.R. Veneto n. 11/2004, il contenuto del Piano degli Interventi deve essere coerente con le disposizioni previste dal Piano di Assetto del Territorio.

Chiarito che: “il Piano degli Interventi, nella disciplina regolativa, ha immotivatamente e inspiegabilmente riclassificato l’area di proprietà della ricorrente come “sub ambito agricolo di ammortizzazione e transizione” precludendo, in tal modo, ogni possibilità di trasformazione urbanistica dell’area in questione e sottoponendola ad una particolare tutela conservativa. Tale scelta si pone in aperto ed insanabile contrasto con il P.A.T. vigente che invece qualifica l’area come periurbana disciplinata dall’art. 51 delle NTA al PAT, sopra riportato”, il Collegio afferma che: “la delibera impugnata di approvazione del P.I., nella parte in cui riclassifica l’area di proprietà della ricorrente, qualificata dal P.A.T. come “periurbana” ex art. 51 delle N.T.A., in “sub ambito agricolo di ammortizzazione e transizione” ex art. 142 delle N.T.O. al P.I., si pone in netto contrasto con le scelte strategiche di sviluppo del territorio stabilite dal piano urbanistico di livello superiore, e ciò in violazione dell’art. 17 della L.R. n. 11/2004, che impone al P.I. di disciplinare gli interventi “in coerenza ed in attuazione del piano di assetto del territorio”.

Conformemente il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 09 maggio 2013 n. 676, afferma che il PI può comunque modificare (radicalmente) la destinazione di un’area impressa dal precedente PAT, soltanto a seguito di un’istruttoria seria ed approfondita e tramite una motivazione specifica e puntuale atta a dimostrare la ragionevolezza della scelta: “Tale modo di procedere è pertanto, non solo contraddittorio, ma si pone in aperto ed insanabile contrasto con la destinazione allo sviluppo insediativo previsto dal P.A.T. per l’area in questione (la quale è stata invece, dal P.I., relegata alla totale inedificabilità che caratterizza la disciplina dei sub ambiti agricoli di ammortizzazione e transizione). Una così radicale variazione della destinazione urbanistica dell’area, se espressione del potere del pianificatore, in sede di P.I., di precisare l’effettiva dimensione e l’ubicazione delle linee di sviluppo insediativo (ex art. 51, punto 51.02), doveva essere sorretta da una sufficiente motivazione, basata su risultanze acquisite attraverso un’istruttoria, ad esempio sulle specifiche caratteristiche dell’area, idonea a dimostrare la ragionevolezza della scelta e la sua coerenza con le prescrizioni del P.A.T.”.

Le sentenze del TAR Veneto sul P.I. citate in questo post sono allegate al primo post datato 15 maggio 2013, avente per oggetto le sentenze del TAR Veneto sul P.I. di Verona.

dott. Matteo Acquasaliente

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