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In che cosa consistono gli interventi realizzati in difformità del Permesso di Costruire?

11 Apr 2014
11 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 28 marzo 2014 n. 412, dopo aver evidenziato che è sufficiente notificare l’ordinanza di demolizione ad un solo dei comproprietari dell’opera di cui è stato chiesto il condono: “2.3 Sul punto va, infatti, considerato applicabile quell’orientamento giurisprudenziale che in materia di ordinanza di demolizione ritiene sufficiente la notifica dello stesso provvedimento ad uno solo dei comproprietari (in questo senso si veda T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, 22-05-2013, n. 2648)”, chiarisce che cosa si intende per interventi realizzati in totale/parziale difformità dal Permesso di Costruire o con variazione essenziali ex artt. 31, 32 e 34 del D.P.R. n. 380/2001: “La descrizione delle opere consente di ritenere come gli stessi abusi non avrebbero potuto non rientrare nella fattispecie di cui all’art. 31 del Dpr 38072001 e, ciò, considerando come nel caso di specie si era in presente di interventi realizzati in totale difformità dal permesso di costruire.

Va, inoltre, rilevato che per un costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. IV, 10-07-2013, n. 3676) “a norma degli artt. 31 e 32 D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), si verificano difformità totale del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera (Riforma della sentenza del T.a.r. Liguria - Genova, sez. I, n. 169/2011)””.

Nella stessa sentenza si sottolinea che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera abusiva non demolita costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione: “Devono, in ultimo, essere respinte le censure relative ai secondi motivi aggiunti, risultando dirimente constatare come i provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza e acquisizione gratuita delle opere abusive costituiscono degli atti dovuti, in quanto conseguenza ineluttabile dell’accertamento dell’inottemperanza e, ciò, senza che per questo sia necessaria una particolare motivazione.

Si è, infatti, sostenuto (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 16-07-2013, n. 3709) che “l'ingiunzione di demolizione di un manufatto abusivo è sufficientemente motivata con il riferimento al diniego di condono e al conseguente carattere abusivo delle opere di nuova costruzione eseguite sine titulo, rispetto alle quali la sanzione demolitoria di cui all'art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) si pone come atto dovuto. Infatti, la natura interamente vincolata del provvedimento di demolizione esclude la necessaria ponderazione di interessi diversi da quelli pubblici tutelati e non richiede motivazione ulteriore rispetto alla dichiarata abusività”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 412 del 2014

Le concessioni demaniali marittime turistico-ricreative sono prorogate di diritto

11 Apr 2014
11 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 27 marzo 2014 n. 393 indica che le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreative che scadono entro il 31 dicembre 2015 sono prorogate di diritto fino al 31 dicembre 2020 ex art. 1 del D. L. n. 194/2009 secondo cui: “Ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di  beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5  maggio  2009,  n.  42, nonche'  alle  rispettive  norme  di  attuazione,  nelle   more   del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalita' turistico-ricreative ,  ad  uso  pesca,  acquacoltura  ed attivita' produttive ad essa connesse, e sportive,  nonche'  quelli destinati a porti turistici, approdi e  punti  di  ormeggio  dedicati alla nautica da diporto, da realizzarsi, quanto  ai  criteri  e  alle modalita' di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'articolo 8,  comma  6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che e' conclusa nel  rispetto  dei principi di concorrenza, di liberta'  di  stabilimento,  di  garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle  attivita' imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonche'  in  funzione del superamento del diritto di insistenza  di  cui  all'articolo  37, secondo comma, secondo periodo,  del  codice  della  navigazione,  il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31  dicembre  2015 e' prorogato fino al 31 dicembre 2020 , fatte salve  le  disposizioni di cui all'articolo 03, comma  4-bis,  del  decreto-legge  5  ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge  4  dicembre 1993, n. 494.  All'articolo  37,  secondo  comma,  del  codice  della navigazione, il secondo periodo e' soppresso”. 

Alla luce di ciò, chiarito che l’area oggetto della sentenza sia un bene demaniale marittimo: “Svolta tale premessa è necessario considerare che l’art. 28 del cod. nav. include, nel demanio marittimo, le lagune, ossia gli specchi d’acqua in immediata vicinanza al mare e con questi comunicanti ( lagune vive) ovvero separati e stagnanti ( lagune morte). A tale rilievo deve aggiungersi che l’art. 29 del cod. nav. considera pertinenze del demanio marittimo le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato che insistono entro i limiti del demanio marittimo. Allora, se si considera la peculiare e singolare conformazione dell’isola di S.Giacomo in Paludo sopra ricordata, si può, attraverso un mero processo sillogistico, configurare l’indicata isola, a tutti gli effetti, parte del demanio marittimo, indipendentemente dagli altri vincoli che su di essa insistono a titolo culturale e paesistico. In altre parole. L’isola in questione è, in buona sostanza, completamente urbanizzata, con manufatti di proprietà statale che, in relazione alla loro peculiare ubicazione costituiscono certamente una pertinenza della laguna, questa, incontrovertibilmente, con carattere di demanio marittimo necessario. Quindi il bene demaniale in argomento è, di fatto e di diritto, una generalizzata pertinenza lagunare, quindi, conseguentemente, compreso nel contesto demaniale marittimo”, il Collegio afferma che: “Tale evenienza comporta, in uno con la riconosciuta demanialità marittima del bene, l’applicazione dell’art. 1 del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, così come convertito nella L. 25/2010 che statuisce, ex lege, la proroga, sino al 31 dicembre 2020, delle concessioni demaniali marittime con finalità turistiche-ricreative in scadenza entro il 31 dicembre 2015”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 393 del 2014

La sanzione per omessa D.I.A./S.C.I.A. deve essere calcolata con riferimento all’area effettivamente occupata dall’abuso

10 Apr 2014
10 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 286 chiarisce che la sanzione applicabile ex artt. 22 e 37 del D.P.R. n. 380/2001 alle opere abusive di manutenzione straordinaria, ex art. 3, c. 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001, deve essere commisurata all’area effettivamente interessata dagli abusi edilizi che necessitavano della previa D.I.A./S.C.I.A. e non alla superficie dell’intero fabbricato: “3.1 Sul punto va, infatti, preliminarmente evidenziato come il provvedimento impugnato deve ritenersi corretto nella parte in cui sottopone gli abusi realizzati, alla fattispecie di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001, risultando dirimente constatare come detti abusi siano relativi alla realizzazione di nuovi servizi igienici e quindi, alla costruzione ex novo di impianti, circostanza quest’ultima che consente di ritenere applicabile la fattispecie della manutenzione straordinaria di cui di all’art. 3 lett. b) del Dpr 380/2001.

3.1 A dette conclusioni è possibile pervenire sia esaminando il disposto di cui alla norma sopra citata laddove qualifica la manutenzione straordinaria nell’ipotesi in cui sussistano “modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari..” (in questo senso si veda TAR Liguria Sez. I 31/10/2007 n. 1895).

4. Ciò premesso va rilevato come il provvedimento deve ritenersi comunque illegittimo nel momento in cui mette in correlazione il mutamento di destinazione, agli abusi in corso di realizzazione e, ciò, considerando come la destinazione a magazzino/deposito fosse già acquisita e con riferimento all’area agricola di cui si tratta.

4.1 L’Amministrazione, pertanto, se ha correttamente individuato la fattispecie applicabile nel connaturato disposto di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001 ha erroneamente fatto riferimento alla circostanza del mutamento di destinazione d’uso nel calcolo della sanzione, assumendo a riferimento l’aumento del valore venale relativo all’intera superficie dell’immobile di cui si tratta (per mq. 1600).

4.2 Detto aumento del valore venale avrebbe dovuto essere calcolato sulla base della sola superficie interna adibita ad ufficio e bagni per una superficie pari a mq. 103,6, ben potendo gli abusi in questione essere funzionali alla destinazione commerciale già acquisita e di cui alla nota del 2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 286 del 2014

Le controversie in materia di DURC spettano al giudice amministrativo

10 Apr 2014
10 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 08 aprile 2014 n. 486 si occupa del D.U.R.C. e della relativa giurisdizione del G.A.: “che, preliminarmente, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento espresso, da ultimo, da TAR Lecce 7.11.2013 n. 2258 che ha ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa in merito all’impugnazione del DURC sulla base della considerazione che tale atto - interno alla fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara e, quindi, impugnabile non già autonomamente, ma unitamente al provvedimento conclusivo della fase stessa - inerisce al procedimento amministrativo di aggiudicazione di un appalto (SS.UU. 9 febbraio 2011 n. 3169; CdS, V, 11.5.2009 n. 2874);

che l'art. 31, VIII comma del DL n. 69 del 2012, entrato in vigore il 22.6.2013, prevede che in caso di mancanza dei requisiti per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (che le stazioni appaltanti debbono acquisire d’ufficio, attraverso strumenti informatici, ai fini della verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all’art. 38, I comma, lett. “i” del codice dei contratti: cfr. il precedente IV comma) “gli Enti preposti al rilascio, prima dell'emissione del DURC….invitano l'interessato……a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a quindici giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità”;

che, dunque, la citata disposizione - che stabilisce che gli enti previdenziali deputati all’emanazione del DURC debbono attivare un procedimento di regolarizzazione mediante il quale i concorrenti ad una procedura concorsuale che fossero privi del requisito della regolarità contributiva possono sanare la loro posizione prima dell’emissione di un documento di irregolarità – ha modificato (per incompatibilità) la prescrizione dell’art. 38 del DLgs n. 163/2006 laddove il requisito della regolarità contributiva, necessario per la partecipazione alle gare pubbliche, è stato pacificamente inteso che deve sussistere al momento della presentazione della domanda di ammissione alla procedura: dovendosi ora, invece, ritenere che il predetto requisito deve sussistere al momento di scadenza del termine quindicennale assegnato dall’Ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva”.

Nella stessa sentenza il Collegio si occupa anche delle “gravi violazioni” connesse alla presentazione del D.U.R.C. chiarendo che: “il ricorso è fondato anche alla stregua del secondo motivo di gravame con cui viene denunciata la violazione del combinato disposto dagli artt. 38, I comma, lett. “i” e II comma del DLgs n. 163/2006 (che escludono i soggetti “che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana”, intendendosi “gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266”) e 8, III comma del DM 24.10.2007 (che, relativo alle “cause non ostative al rilascio del DURC” prevede che “non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione….fermo restando l'obbligo di versamento del predetto importo entro i trenta giorni successivi al rilascio del DURC”): ebbene, atteso che l’omesso pagamento di € 646,00 si riferiva al mese di settembre 2013 (relativamente al quale la società ricorrente avrebbe dovuto corrispondere € 16.599,00, mentre aveva aveva pagato € 15.953,00: cfr. il mod F24 e la dichiarazione asseverata 28.3.2014, in atti), è “ictu oculi” evidente che lo scostamento tra il dovuto ed il versato è inferiore alla soglia del 5%: con la conseguenza che l’INPS era tenuta a rilasciare un DURC di regolarità contributiva”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 486 del 2014

Quando l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento e della motivazione non si applica al D.A.S.P.O.?

10 Apr 2014
10 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 31 marzo 2014 n. 436 si sofferma sul provvedimento che impone il Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, c.d. D.A.S.P.O., alle persone pericolose e che trova applicazione anche nei confronti dei tesserati: “Va ricordato che la Cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo cui le misure adottabili ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 6 si applicano anche nei confronti di tesserati di federazioni sportive ed indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva.(cass. Pen. 33864/2007) ciò in relazione ad atti di violenza causati da tesserati nei confronti di altri tesserati nell'ambito della competizione sportiva cui stavano partecipando”.

 Nella sentenza che si commenta il Collegio afferma che l’urgenza di adottare il D.A.S.P.O. prevale sull’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento: “5.1. Secondo la prevalente giurisprudenza , il provvedimento che inibisce l'accesso agli stadi e ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive calcistiche, disposto ai sensi dell'articolo 6, della legge 401/1989, mirando alla più efficace tutela dell'ordine pubblico e a evitare la reiterazione dei comportamento vietati, non deve necessariamente essere preceduto dall'avviso di avvio del procedimento (cfr. TAR Umbria, sez. 1, 18 giugno 2010 n. 379).

5.2. E’, in ogni caso, sufficiente che sia menzionata la ragione di urgenza per cui è omessa la garanzia partecipativa, come è avvenuto nella specie, ove si da specificamente atto della “sussistenza di oggettivi motivi cautelari e di urgenza, volti a prevenire ulteriori pericoli per l'ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, nonché di celerità, vista la pericolosità mostrata in tale occasione , per cui non si è ritenuto di dover dare avviso di avvio del procedimento” .(cfr.T.A.R. Emilia Romagna Parma sez. I, 22 febbraio 2012, n. 111).

L’onere dell’amministrazione, di recente affermato, di informare tempestivamente il soggetto dell’avvio del procedimento volto ad adottare la misura interdittiva denominata DASPO, non essendo ammissibile il protrarsi di accertamenti e attività istruttorie inaudita altera parte” (Cons. St., sez. I, parere 29 maggio 2012 n. 2603), non è sostenibile alla luce dell’urgenza connessa al succedersi delle manifestazioni sportive calendarizzate nel campionato che rappresentano occasione di scontro fra tifoserie e all’esigenza di garantire l’ordine pubblico evitando la possibilità di scontri e violenze sulle persone e sulle cose (Cons. St., sez. VI, 2 maggio 2011 n. 2569; 8 giugno 2009 n. 3468; 16 ottobre 2006 n. 6128; 15 giugno 2006 n. 3532).

Nella specie, il provvedimento interdittivo è stato emesso il giorno 4 gennaio 2013 , laddove i fatti risalgono al 29 dicembre 2012, sicchè la celerità con la quale è stato portato a termine il procedimento comprova l’urgente necessità di evitare il ripetersi di analoghi episodi e di impedire la reiterazione dei comportamenti vietati, di fronte alle quali la tutela degli interessi del destinatario e la garanzia della partecipazione appaiono decisamente recessivi”.

 Per quanto riguarda la motivazione si legge: “Va ricordato che il legislatore ha emanato una disposizione che eleva la soglia di prevenzione in considerazione della rilevanza sociale dei comportamenti di natura violenta tenuti in occasione di manifestazioni sportive alle quali possono partecipare anche molte migliaia di persone.

Per questo l’art. 6, comma 1, della legge n. 401 del 1989, considera rilevanti non solo il compimento di atti di violenza, e quindi di atti che hanno prodotto un danno all’integrità delle cose o all’incolumità delle persone, ma anche la semplice partecipazione attiva ad episodi di violenza.

Con la conseguenza che il Daspo può essere irrogato anche nei confronti di chi ha "incitato, inneggiato o indotto alla violenza" in occasione o a causa di manifestazioni sportive.

La giurisprudenza ha affermato, in proposito, che la misura del divieto di accesso agli impianti sportivi può essere disposta non solo nel caso di accertata lesione, ma in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, come accade nel caso di condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo. Ne consegue che il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto, anche sulla base dei suoi precedenti, non dia affidamento di tenere una condotta scevra dalla partecipazione a ulteriori episodi di violenza.

Al riguardo, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che l’art. 6 di cui sopra non impone indagini specifiche sulla pericolosità del soggetto, ossia non richiede alcun previo accertamento attinente – in generale – alla personalità del destinatario del provvedimento, in quanto presuppone e, dunque, si fonda precipuamente sulla pericolosità specifica dimostrata dal soggetto in occasione di manifestazioni sportive (cfr., tra le altre, TAR Umbria, Sez. I, 15 dicembre 2009, n. 767; TAR Campania, Napoli, 13 settembre 2010, n. 17403).

In altri termini, si tratta di una norma introdotta al fine esclusivo di fronteggiare il fenomeno della violenza negli stadi, ispirata dalla necessità di offrire idonea salvaguardia a interessi primari, quali l’incolumità personale, e, quindi, richiede – ai fini della sua applicazione – che un soggetto si sia reso responsabile di comportamenti atti a rivelare la ridetta pericolosità.

Tale misura si connota di un'ampia discrezionalità, in considerazione della sua finalità di tutela dell'ordine pubblico, e non può essere censurata se congruamente motivata con riferimento alle specifiche circostanze di fatto che l’hanno determinata (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2572 del 2 maggio 2011).

In ragione di tale rilievo, non è rinvenibile alcun obbligo per l’Amministrazione di correlare il divieto di cui trattasi con i fatti accaduti nel senso di imporre lo stesso solo in relazione allo svolgimento di ben determinate partite di un determinato sport, disputate dalle squadre interessate dall’incontro in occasione del quale si sono verificati gli atti di violenza contestati al destinatario del provvedimento”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 436 del 2014

L’acquisizione gratuita non si applica alla ristrutturazione abusiva

09 Apr 2014
9 Aprile 2014

 Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 28 marzo 2014 n. 403 afferma che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un immobile ex art. 31, c. 3 del D.P.R. n. 380/2001 non può legittimamente avvenire se l’Amministrazione ha configurato l’intervento edilizio abusivo in termini di ristrutturazione ex art. 33 del D.P.R. n. 380/2001:“Risulta infatti fondato il primo motivo di ricorso, con il quale viene denunciata l’illegittimità di tale ordinanza per violazione del disposto di cui all’art. 31, terzo comma del D.P.R. 380/01.

Premesso, infatti, che è stata la stessa amministrazione a qualificare gli interventi abusivamente realizzati sull’immobile della ricorrente quali opere di ristrutturazione mediante demolizione e successiva ricostruzione, così escludendo la riconducibilità delle stesse ad un intervento di nuova costruzione, ne consegue l’illegittima l’applicazione della sanzione irrogata in conseguenza dell’inosservanza dell’ordine impartito.

Invero, l’acquisizione al patrimonio pubblico dell’opera abusiva non può conseguire ad una violazione contestata ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. 380/01.

Ribadito, infatti, per le considerazioni già svolte, che l’abuso è stato contestato dall’amministrazione ai sensi dell’art. 33, risultano illegittimamente disposte le conseguenze dell’acquisizione ex lege dell’immobile e dell’area di sedime e di pertinenza dello stesso, in quanto ricollegabili soltanto alla diversa ipotesi in cui sia stata contestata la realizzazione abusiva di una nuova costruzione, ai sensi dell’art. 31.

Soltanto in tale diversa ipotesi è possibile dare luogo alle specifiche conseguenze dettate da tale disposizione, le quali vengono a colpire non l’abuso in sé (che resta sanzionato in via diretta per mezzo dell’ordine di demolire e rimessione in pristino), ma la circostanza sopravvenuta, in questo caso imputabile anche alla proprietà che nulla ha opposto al riguardo nei confronti del responsabile materiale degli abusi, di non aver eseguito la demolizione nel termine assegnatogli.

E’ quindi evidente che l’acquisizione gratuita non può prescindere da un ordine di demolizione spiccato ai sensi dell’art. 31 e dato atto che questa non è l’ipotesi manifestatasi nel caso in esame, il provvedimento così assunto dall’amministrazione nei riguardi della società ricorrente è illegittimo..

Per detti motivi, quindi, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile ed in parte fondato, da cui il suo parziale accoglimento, con conseguente annullamento della sola ordinanza n. 4/2013”.

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 403 del 2014

Il conferimento di incarichi non autorizzati al dipendente pubblico a tempo pieno: esimente della buona fede

09 Apr 2014
9 Aprile 2014

L’art. 53, c. 6, d.lgs. 165/2001, vieta ai dipendenti della P.A., con rapporto di lavoro a tempo pieno, l’espletamento di incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri d’ufficio, salvo che l’incarico sia stato previamente autorizzato dall’Amministrazione di appartenenza.

Diversamente, i dipendenti pubblici a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50%, non necessitano della preventiva autorizzazione dell’Ente datore di lavoro, per poter svolgere un’attività ulteriore, che non sia incompatibile con i doveri d’ufficio.

A tutela del principio di esclusività del pubblico impiego, garantito dall’art. 98 Cost., la legislazione vigente introduce un sistema sanzionatorio particolarmente rigido, fino a colpire il privato, fruitore delle prestazioni del pubblico dipendente in assenza di preventiva autorizzazione: l’art. 53, c. 9, d.lgs. 165/2001, prevede infatti che “gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi”. In caso di inosservanza, si applica una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti al pubblico dipendente, alla cui irrogazione provvede il Ministero dell’Economia e delle Finanze, avvalendosi della Guardia di Finanza (art. 6, comma 1, D.L. 79/1997, convertito dalla L. 140/1997).

Avverso l’ordinanza-ingiunzione dell’Agenzia delle Entrate, determinante la sanzione, è ammesso il ricorso in opposizione dinanzi al Giudice di Pace competente per territorio, nei termini di cui alla L. 689/1981.

Nel caso di specie, il Giudice di Pace di Bassano del Grappa, pronunciandosi sul ricorso promosso dai titolari di un’officina meccanica che si erano avvalsi delle prestazioni professionali di un “commercialista”, ignorando il suo status di pubblico dipendente a tempo pieno della locale U.L.SS., è giunto ad annullare l’ordinanza-ingiunzione irrogatrice della sanzione pecuniaria, per mancanza dell’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo ex art. 3, l. 689/1981, richiamando la massima della Suprema Corte, per cui “l’esimente della buona fede, applicabile all’illecito amministrativo, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando sussistono elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore ha fatto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso” (Cass. Civile, sez. II, 06.04.2011, n. 7885). Viene così confermato come l’elemento soggettivo dell’illecito vada escluso in presenza di errore sul fatto non dipendente da colpa: esso è ravvisabile qualora il supposto autore della violazione ritenga di aver posto in essere un comportamento diverso da quello sanzionato, o per errore di fatto (ovvero per imperfetta valutazione della realtà naturalistica) o per errore sulla norma che si assume essere stata trasgredita.

Avv. Dario Meneguzzo

sentenza GDP

Da quanto decorre il termine per impugnare con i motivi aggiunti gli atti depositati in giudizio

09 Apr 2014
9 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 04 aprile 2014 n. 467, chiarisce da quale momento decorre il termine per impugnare un provvedimento con i motivi aggiunti: “considerato:

che la stessa si fonda sulla circostanza che dies a quo nell’impugnazione con atto di motivi aggiunti discenda dal deposito giudiziale degli atti a essi relativi;

che la ricorrente contesta detta impostazione affermando come il termine decorra esclusivamente dalla piena conoscenza, la quale sarebbe avvenuta al momento della comunicazione della fissazione dell’udienza;

che in effetti in giurisprudenza si confrontano due posizioni, la prima, che valorizza il momento della piena conoscenza, così come oggi individuato anche normativamente dall'articolo 42 del codice del processo amministrativo, la seconda, che individuando un onere del ricorrente di accertare in segreteria l'eventuale deposito di documentazione, fa decorrere il termine per la proposizione dei motivi aggiunti - e in tale quadro non vi è alcuna distinzione fra i motivi aggiunti propriamente detti e il cosiddetto ricorso aggiunto, come nella specie, vale a dire quello che si rivolge ad atti adottati successivamente a quelli impugnati con il ricorso principale- proprio dall'avvenuto deposito;

ritenuto:

che tale seconda tesi sia da preferirsi: in caso di deposito di documenti in giudizio con il rispetto dei termini relativi, poiché è configurabile un onere del ricorrente di accertare in segreteria l'eventuale deposito, il termine per la proposizione di motivi aggiunti generalmente decorre dalla data del deposito stesso, mentre quando i termini di deposito, peraltro ordinatori, siano rimasti inosservati, non avendo il ricorrente un siffatto onere, la decorrenza del termine è legata all'effettiva conoscenza del deposito stesso, con dimostrazione di questa a carico della controparte che eccepisce la tardività, afferma una risalente decisione del Consiglio di Stato, sez.V, n.3717/2002;

che conseguentemente i ricorsi per motivi aggiunti, essendo stati notificati in data 11 aprile 2013 a fronte del deposito documentale avvenuto in data 7 febbraio 2013 in vista dell'udienza di discussione fissata per il giorno 21 marzo 2013 risultano irricevibili per tardività; e dunque i ricorsi principali vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse e i ricorsi per motivi aggiunti irricevibili per tardività essendo notificati oltre i 60 giorni previsti”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 467 del 2014

A proposito di impianti radio base

08 Apr 2014
8 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 28 marzo 2014 n. 409 si occupa di numerose questioni relative alle basi radio: “Risulta dirimente constatare l’inapplicabilità dell’art. 20 delle NTA agli impianti radio base di cui si tratta e, ciò, considerando come dette opere costituiscano, per un costante orientamento giurisprudenziale – oltre che in attuazione di un espresso dettato legislativo (ai sensi degli art. 86 e 87 del D.Lgs. 259/2003) -, delle opere primarie di interesse pubblico che, in quanto tali, non sono suscettibili di essere equiparate agli edifici.

3.1 Va rigettata, altresì, l’eccezione di irricevibilità nella parte in cui si sostiene che parte ricorrente non avrebbe provveduto a disporre un’impugnazione autonoma dell’art. 39 comma 2 n. 7, delle NTA, a seguito della pubblicazione, avvenuta nell’Ottobre 2012, della delibera consiliare che ha introdotto la disposizione di cui si tratta.

3.2 Sul punto va rilevato come costituisca espressione di un principio consolidato (Cons. Stato Sez. V, 16-04-2013, n. 2094) quello in base al quale ..” mentre le disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi che in via immediata (come le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata devono essere impugnate immediatamente, dal canto loro, le prescrizioni di dettaglio, contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale comunale che, per la loro natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo, possono formare oggetto di censura in occasione della impugnazione di quest'ultimo (Conferma della sentenza del T.a.r. Veneto - Venezia, sez. II, n. 1341/2011)”.

3.3 Ne consegue come sia possibile respingere le eccezioni preliminari sopra ricordate.

4. Per quanto concerne il merito del ricorso è possibile accoglierlo, ritenendone fondato il terzo motivo.

4.1 Risulta sul punto dirimente constatare come il provvedimento di rigetto sia motivato con riferimento ad unica argomentazione, in quanto riferita all’asserito contrasto dell’intervento di cui si tratta con l’art. 39 comma 2 punto 2.7 delle Norme tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale, nella parte in cui prevede che le stazioni di radio base per reti di telefonia mobile, e in genere gli impianti di tele radiocomunicazioni, possono essere installati esclusivamente nelle zone e negli “spazi pubblici”.

4.2 Detta disposizione deve ritenersi in espresso contrasto con l’art. 86 del D. Lgs. 259/2003, laddove consente che le domande per la concessione del diritto di installare infrastrutture possono essere relative sia a proprietà pubbliche, quanto a proprietà private.

4.3 La disposizione dell’art. 39, così come interpretata dal Comune di Montebelluna, ha, allora, l’effetto di introdurre una disposizione diretta a circoscrivere l’installazione degli impianti in questione, solo ed esclusivamente a determinate aree del territorio comunale, aree queste ultime adibite, solo ed esclusivamente, a “spazi pubblici a servizio della residenza …ovvero nelle zone per attrezzature di interesse generale” e, in ciò, contravvenendo espressamente al disposto legislativo di cui all’art. 86, nella parte in cui include le aree private tra quelle in cui la realizzazione di detti interventi è del tutto ammissibile.

4.4 Va, altresì, rilevato come questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare l’illegittimità di quelle disposizioni che circoscrivono detti interventi alle sole aree di proprietà comunale (per tutti si veda T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 08-11-2005, n. 3869 e TAR Veneto del 2004, n. 4045) e, ciò, in attuazione di una disposizione che attribuisce all’installatore la facoltà di individuare l’area, pubblica o privata, dove installare l’impianto.

4.5 E’ inoltre necessario ricordare come costituisca orientamento altrettanto consolidato (T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 13-03-2012, n. 99) quello in base al quale sono da ritenersi illegittime quelle disposizioni che introducono delle limitazioni generiche e generalizzate di localizzazione degli impianti di cui si tratta”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 409 del 2014

La farmacia non può essere trasferita fuori zona

08 Apr 2014
8 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 457 del 04 aprile 2014 afferma che, nonostante l’intervenuta liberalizzazione del settore farmaceutico avvenuto con il Decreto Legge n. 1/2012, convertito in Legge n. 27/2012, abbia previsto che l’istituzione di una nuova farmacia possa essere concessa se siano rispettati determinati parametri di popolazione, il Comune legittimamente può negare il trasferimento di un farmacia che inizialmente era stata autorizzata in una precisa zona territoriale: “che va preliminarmente osservato come, in linea di principio, l’apertura di una farmacia in deroga ,(cfr. delibera comunale n.4/2004) finalizzata alla necessità di assicurare l’estensione dell’assistenza farmaceutica a favore di aggregati permanenti di popolazione che, per difficoltà connesse alla viabilità ed alle distanze, non è in grado di accedere comodamente ad altre farmacie esistenti sul territorio, non costituisca ragione giuridica per negare titolo al trasferimento, una volta che le condizioni dei luoghi siano mutate; tuttavia, l’esigenza di interesse pubblico che ne ha consentito l’apertura dovrà essere ovviamente tenuta in debito conto nell’esame della domanda di trasferimento, posto che essa, pur non costituendo una ragione di differenziazione dello stato giuridico della farmacia, è pur sempre immanente all’interesse pubblico che l’Amministrazione deve apprezzare e ponderare, e dunque rileva sul piano della motivazione del provvedimento.(cfr. Tar Calabria, Reggio Calabria, n.158/2014);

che nella specie appare particolarmente significativo quanto affermato dal Consiglio di stato, sez.III, nella decisione n. 466872013 laddove ha ricordato come “In proposito, va precisato che se la norma dispone che in un Comune debba esservi una farmacia ogni 3300 abitanti, ciò non significa che la popolazione delle singole zone debba corrispondere precisamente a questo numero. E’ vero che la distribuzione delle farmacie rispetto al territorio ed alla popolazione dev’essere per quanto possibile equilibrata, ma non vi sono vincoli precisi come quello ipotizzato, anche per la ovvia considerazione che nessuno degli utenti è obbligato a servirsi della farmacia alla cui zona appartiene nominalmente la sua residenza; la delimitazione delle zone non ha questa funzione, ma solo quella di vincolare l’esercente a mantenere il suo esercizio all’interno di quel perimetro. D’altra parte nella pianificazione delle zone si deve tener conto anche di fattori diversi dal numero dei residenti: ad esempio le distanze. Questi princìpi erano comunemente condivisi vigente la normativa anteriore al decreto legge n. 1/2012, e le nuove disposizioni non modificano questi aspetti.”;

che la zona di originaria assegnazione e quella di trasferimento risultano diverse – per come acclarato dalla certificazione comunale, non sindacabile, per mancata evocazione, come detto, dell’amministrazione stessa”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 457 del 2014

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