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Il mutamento della destinazione d’uso in zona agricola (in Puglia il TAR è più buono?)

29 Apr 2013
29 Aprile 2013

Il T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, nella sentenza del 16 aprile 2013 n. 573, dichiara illegittimo il diniego di mutamento della destinazione d’uso - da attività industriale ad attività commerciale - di un immobile sito in zona agricola e motivato in questi termini: “il cambio di destinazione d’uso richiesto non risulta compatibile con la destinazione urbanistica della zona e l’attività richiesta non è prevista dalle specifiche NTA del PRG”.

Chiarito che: “per condivisa giurisprudenza amministrativa, “la destinazione a zona agricola di un'area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone, in positivo un obbligo specifico di utilizzazione effettiva, in tal senso, bensì, in negativo, ha lo scopo solo di evitare insediamenti residenziali; pertanto, non costituisce ostacolo all'installazione di opere che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino incompatibili con zone abitate” (C.d.S, V, 15.6.2001, n. 3178. In termini confermativi, TAR Lazio, Latina, I, 19.4.2012, n. 329)”, il Collegio osserva che: “nella specie, il Comune di Canosa di Puglia ha motivato il proprio diniego facendo esclusivo riferimento alla destinazione agricola dell’area in esame, rientrante all’interno del Parco Territoriale Regio Tratturo Appia Traiana. Senonché, alla luce delle considerazioni sopra esposte, tale destinazione non costituisce, di per sé, causa ostativa al rilascio dell’autorizzazione, ben potendo in astratto assentirsi strutture non incompatibili con la destinazione agricola dell’area, specie se, come nel caso in esame, i progettati lavori presentano carattere minimale, sostanziandosi in opere edili interne ad un manufatto già esistente.

 Per tali ragioni, l’amministrazione non poteva fondare il proprio diniego sul mero fatto della peculiare destinazione urbanistica dell’area, avendo invece dovuto congruamente motivare in ordine all’incompatibilità del progetto con le peculiari caratteristiche della zona considerata. In tal senso l’amministrazione non si è determinata, limitandosi ad affermare, in maniera del tutto sibillina, che “…l’attività richiesta non è prevista dalle specifiche NTA del PRG”, e omettendo del tutto di specificare le disposizioni di piano asseritamente in contrasto con il tipo di intervento richiesto”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Puglia, Bari n. 573 del 2013


Le Amministrazioni statali e quelle locali hanno discipline differenti per acquistare sul MePA

29 Apr 2013
29 Aprile 2013

 L’art. 1, c. 1, del D. L. 95/2012 recita: “Successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. Ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello  indicato  nel contratto. Le centrali di acquisto regionali, pur tenendo conto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., non  sono soggette  all'applicazione dell'articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488. La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A.,ed a condizione che tra l'amministrazione  interessata e l'impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”.

La Corte dei Conti, sez. contr. Lombardia, nel parere del 26 marzo 2013 n. 112, chiarito che: “la possibilità residua di ricorrere alla procedura ex art. 125 cod. contr. al di fuori di tali mercati residua solo nell’ipotesi di non reperibilità dei beni o servizi necessitati; pertanto nella fase amministrativa di determinazione a contrarre, l’ente dovrà evidenziare le caratteristiche tecniche necessarie del bene e della prestazione; di avere effettuato il previo accertamento della insussistenza degli stessi sui mercati elettronici disponibili; e, ove necessario, la motivazione sulla non equipollenza con altri beni o servizi presenti sui mercati elettronici” afferma che: “non sussiste un obbligo assoluto di ricorso al MEPA, essendo espressamente prevista la facoltà di scelta tra le diverse tipologie di mercato elettronico richiamate dall’art. 328 del d.p.r. 207/2010: segnatamente, tra il mercato elettronico realizzato dalla medesima stazione appaltante e quello realizzato dalle centrali di committenza di riferimento di cui all’art. 33 cod. contr., potendo inoltre ricorrere al mercato elettronico elaborato dalla singola stazione appaltante (le opzioni percorribili sono confermate dall’art. 33, comma 3 bis cod. contr.)

Ne deriva che, a ben vedere, mentre il MEPA gestito dalla CONSIP rientra appieno tra gli “strumenti di acquisto messi a disposizione” dalla stessa, analoga tassonomia non può essere effettuata per i mercati elettronici curati da parte della singola stazione appaltante ovvero ad opera della centrale di committenza.

Tuttavia, a ben vedere, il ricorso a un MEPA diverso da quello gestito direttamente dalla CONSIP appare una modalità alternativa di adempimento rispetto a un obbligo primario direttamente comminato dalla legge, con la conseguenza che troverà applicazione per le operazioni in tal senso concluse dagli enti locali la nullità c.d. testuale o espressa comminata dal legislatore ai sensi dell’art. 1418, comma 3, c.c. (in tal senso sez. contr. Marche, deliberazione 29 novembre 2012 n. 169).

Trattasi infatti di interpretazione estensiva, e non già analogica, utilmente applicabile quindi anche con riguardo a fattispecie tendenzialmente tassative quali le norme comminatorie di nullità”.

Inoltre, con riferimento all’ultimo periodo dell’articolo citato, la Corte dei Conti ritiene che vi è “una specifica “prova di resistenza” per le sole Amministrazioni dello Stato, determinando come conseguenza quella di impedire, per le sole amministrazioni locali (rispetto a cui l’obbligo di ricorso al MEPA gestito dalla CONSIP è indubbiamente più lasco) il beneficio della verifica del danno.

In effetti, come si ha avuto modo di cennare, per le Amministrazioni dello Stato detto beneficio compensa la circostanza che la disciplina degli obblighi di approvvigionamento sia maggiormente stringente. Per le amministrazioni locali, invece, stante la possibilità di ricorso a diverse forme di reperimento sui vari MEPA, il legislatore ha limitato la possibilità di deroga e di conseguente ricerca sul libero mercato”.

dott. Matteo Acquasaliente

Corte Conti, sez. contr. Lombardia, Parere n. 112 del 2013

Una mostra da non perdere: Venetkens a Padova

26 Apr 2013
26 Aprile 2013

“Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi”, sarà uno dei principali eventi protagonisti della città di Padova e, per numeri e caratteristiche, si preannuncia come una delle più grandi mostre italiane in assoluto per l’anno 2013.

L'iniziativa, promossa e organizzata dall’Assessorato alla Cultura di Padova, dalla Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto e da Gruppo Icat, agenzia di comunicazione e marketing, si propone come un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio, volto a presentare la vita quotidiana, il territorio, le attività commerciali, i cerimoniali funebri e le espressioni artistiche del popolo che abitò l’area del Nord-est italiano nel corso del I millennio a.C.

I reperti provengono da tutto il Veneto (anche da Isola Vicentina, Trissino e Montebello) e testimoniano gli stretti rapporti con gli antichi greci e una civilità molto evoluta e raffinata.

Era un popolo di allevatori di cavalli: il reperto più commovente è quello di un giovane sepolto rannicchiato sulla pancia del suo cavallo.

Palazzo della Ragione; 6 aprile / 17 novembre 2013; dalle 9.00 alle 19.00 - chiuso il lunedì.

www.venetiantichi.it

L’associazione ambientale legittimata a ricorrere deve ricorrere e non può intervenire

26 Apr 2013
26 Aprile 2013

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 469 del 2013, già allegata al post che precede.

"7. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere pronunciato, seppur per differenti ragioni, per quanto attiene la proposizione dell’intervento ad adiuvandum delle associazioni Italia Nostra e World Wide For Nature Onlus.
7.1 La disciplina delineatasi a seguito dell’intervenuta abrogazione dell’art. 18 L. n. 349/86, non solo ha determinato il venir meno di un diritto generalizzato di impugnativa degli atti ritenuti illegittimi delle associazioni dirette alla tutela del territorio e dell’ambiente, ma ha, nel contempo confermato, pur con le opportune differenzazioni, un sistema di tutele che vede ancora oggi le associazioni legittimate a proporre - in via autonoma - un ricorso avverso atti e provvedimenti che si ritengano lesivi dei principi in materia di ambiente e di cui al D.Lgs. n. 152/2006.
7.2 In considerazione di detti poteri di legittimazione attiva, riconosciuti dagli art. 309 e 310 del D.Lgs. 152/2006, deve ritenersi applicabile quel consolidato principio giurisprudenziale, nella parte in cui ritiene inammissibile l’intervento proposto dal soggetto già titolare di un’autonoma e speciale legittimazione. Come infatti, ha ricordato il Consiglio di Stato (Sez. V, 02-08-2011, n. 4557)..” nel giudizio amministrativo è, di norma, inammissibile l'intervento da parte del soggetto legittimato alla proposizione dei ricorso autonomo perché in contrasto con la regola secondo cui l'intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere  proposto nel processo amministrativo solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da un soggetto che sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale (Conferma della sentenza del T.a.r. Marche - Ancona, sez. I, n. 1242/2009)”.
7.3 Un’altrettanto recente pronuncia (T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 05-09- 2012, n. 1457) ha confermato come ..” non è ammissibile nel processo amministrativo né l'intervento principale (ad infringendum iura utriusque competitoris), con il quale l'interveniente fa valere una pretesa autonoma, incompatibile con quella delle altre parti del processo, né l'intervento adesivo autonomo (o litisconsortile), con il quale l'interveniente esercita un'azione autonoma, assumendo tuttavia una posizione uguale e parallela a quella di una delle parti del processo”.
7.4 Nel caso di specie gli intervenienti si sono limitati ad affermare l’esistenza di un rapporto di dipendenza e di accessorietà dell’intervento così proposto rispetto al ricorso principale, senza tuttavia dimostrare, in concreto, l’esistenza di un interesse di fatto (o diffuso), in quanto riconducibile alle associazioni sopra ricordate, che risulti inequivocabilmente essere dipendente da quello azionato in via principale - o ne sia in qualche modo accessorio - e che, quindi in quanto tale, consentirebbe a dette associazioni di ottenere un vantaggio indiretto e riflesso dall'accoglimento del ricorso.
7.5 Ne consegue che entrambe le associazioni ambientaliste, rivestendo una posizione soggettiva assimilabile a quella dei cittadini ricorrenti principali, avrebbero potuto e dovuto, proporre, non solo tutti gli strumenti di denuncia di cui all’art. 309, ma tutte quelle azioni di cui all’art. 310 della Codice dell’Ambiente, in quanto tese all’impugnativa degli atti suscettibili di ledere quegli interessi in materia di tutela dell’ambiente che hanno caratterizzato la controversia ora sottoposta a questo Collegio.
7.6 Condividere le tesi delle associazioni ambientaliste avrebbe l’effetto di violare il carattere impugnatorio del processo amministrativo, caratterizzato com’è, dalla previsione di termini perentori di decadenza.
7.7 Ne consegue che conformemente all’orientamento sopra richiamato, al quale questo Collegio ritiene di non discostarsi, l'istituto dell'intervento non possa essere utilizzato quale rimedio per far valere una pretesa rispetto alla quale l'interveniente avrebbe potuto proporre autonomo ricorso. Deve, pertanto, ritenersi che ai sensi dell’art. 28 comma 2° cpa sia inammissibile l’intervento adesivo autonomo del soggetto cointeressato e, quindi, legittimato a proporre autonomo e separato ricorso e, ciò, laddove proposto una volta che siano decorsi (come è avvenuto nel caso di specie) i termini di impugnativa dell’atto di cui si tratta.                                                                                                                                                                                                                8. L’intervento proposto dalle associazioni ambientaliste sopra indicate deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e, ciò, unitamente all’intero ricorso".

Il TAR Veneto fa il punto sulla “vicinitas”

26 Apr 2013
26 Aprile 2013

Il tema della "vicinitas" incide sulla legittimazione e sull'interesse a impugnare le previsioni urbanistiche e i titoli edilizi dei vicini. Un tempo la giurisprudenza era pacificamente orientata nel senso che il confinante avesse per ciò stesso l'interesse e la legittimazione a impugnare. Ora la giurisprudenza è cambiata.

Scrive il TAR Veneto nella sentenza n. 469 del 2013: "3. In ordine all'impugnazione dei piani urbanistici generali, e di quelli attuativi di questi ultimi, l’orientamento giurisprudenziale prevalente - e oramai sul punto pressocchè consolidato -, ritiene come la mera "vicinitas" di un fondo, o di un’abitazione, all'area oggetto di intervento, non sia di per sé sufficiente a radicare la legittimazione e l'interesse al ricorso, dovendo invece la parte attrice dare la prova concreta della specifica lesione inferta dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica.
3.1 Detto orientamento trova la propria ragion d’essere nella necessità di  evitare che, un'eccessiva dilatazione del concetto di "interesse ad agire" - applicato ai piani urbanistici -, consenta l'impugnativa anche a soggetti titolari di un interesse di mero fatto (TA.R. Lombardia Milano Sez. II, 08-02-2011, n. 383).
3.2 Anche il Consiglio di Stato con una recente pronuncia (sez. IV sentenza del 13.11.2012 n. 5715), ha confermato che il requisito della vicinitas (peraltro nel caso di specie non compiutamente dimostrato dai  ricorrenti) deve essere messo …”in più stretta correlazione con la legitimatio ad causam intesa come l’interesse ad agire, affermandosi che la legittimazione attiva sussiste ogni qual volta il progettato intervento urbanistico-edilizio, pur concernente un’area non di appartenenza del ricorrente, incida negativamente sul bene di proprietà o in godimento del vicino sì da comprometterne la fruizione o il valore. Così, si è detto, occorre che dall’approvazione e dall’esecuzione delle scelte urbanistiche derivi al ricorrente un pregiudizio certo e concreto in relazione ai molteplici aspetti e ai vari interessi costitutivi della sua sfera giuridica (Cons. Stato Sez..IV 24 dicembre 2007 n.6619; 22 giugno 2006 n.3947; Cons. Stato 10 giugno 2004 n.3755; 5 settembre 2003 n.4980; 9 novembre 2010 n. 8364)”. E’ sempre il Consiglio di Stato a ricordare che, conformemente a precedenti orientamenti già espressi, sia indispensabile dimostrare, oltre alla legittimazione ad agire, uno specifico interesse all’azione e, ciò nella parte in cui si è affermato “…la necessità che per i vicini si verifichi uno specifico vulnus alla loro sfera giuridica sub specie della sussistenza di un detrimento economico - patrimoniale comunque derivante per il bene (in tal senso Cons. di Stato n.8364/2010 già sopra citata)”.
3.3 Si consideri, ancora, che nelle controversie attinenti alla realizzazione di interventi che incidono sul territorio (quale è quella in esame), se è vero che l’ordinamento riconosce – almeno in astratto - una posizione qualificata e differenziata a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata, è anche vero che, in concreto, devono ritenersi titolati all’impugnativa solo i soggetti che  possono lamentare una rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio, per effetto della realizzazione dell’intervento controverso.
3.4 Come insegna un altrettanto costante orientamento, a cui questo Collegio non ritiene di discostarsi, “il pregiudizio che può conseguire ad un intervento di pianificazione può consistere nella possibile diminuzione di valore del proprio immobile o nella peggiore qualità ambientale: una volta accertata la vicinitas, rappresentata dal collegamento territoriale, vanno valutate le implicazioni urbanistiche dell’intervento e le conseguenze prodotte sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorative e simili ragioni, sono in durevole rapporto con la zona interessata dall’intervento ( in questo senso Cons. Stato, sez. IV, 17.09.2012, n. 4926)”.
3.5 Conformemente agli orientamenti così consolidati e sopra ricordati, anche questo Tribunale (TAR Veneto n. 1190/2009 e n. 2347/2009) ha già avuto modo di precisare come l’impugnazione della disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente (ipotesi  quest’ultima analoga al caso di specie) sia consentita soltanto “qualora incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato delle aree stesse, o comunque, su interessi propri e specifici dell’istante”.
3.6 Detto specifico, e concreto, “vulnus” deve essere correlato e strettamente consequenziale all’atto impugnato e, ciò, al fine di evitare che generiche affermazioni di “danno”, o lesioni non supportate da elementi probatori, possano avere l’effetto di vanificare l’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato ed estendere l’ambito della legittimazione attiva.
4. Nel caso di specie va rilevato come, non solo detto requisito della vicinitas non appare provato ed esistente (quanto meno per alcuni dei ricorrenti), ma in ogni caso non è stata data una prova, o quanto meno un riscontro oggettivo, circa la lesione presumibilmente e potenzialmente subita dai ricorrenti in conseguenza dell’approvazione di quella peculiare e specifica variante urbanistica sopra ricordata.
4.1 Il ricorso introduttivo contiene sì, un riferimento (peraltro generico) al danno alla salute, all’aumento dei rumori e dei disagi, ma dette affermazioni non solo non sono supportate da elementi di fatto, ma nel  contempo, devono ritenersi consequenziali e correlate, non variante urbanistica - e quindi agli interventi resi ammissibili da quest’ultimo -, ma al contrario, sono da ricondursi e fanno riferimento all’impianto produttivo già esistente, come autorizzato dai permessi di costruire precedenti al contenzioso di cui si tratta. Non vi è traccia, pertanto, nel ricorso di un interesse attuale e concreto, a costituire il presupposto per una pronuncia di annullamento della variante.
4.2 Se, infatti, è evidente che l’incidenza stessa in un’area di un impianto bituminoso è suscettibile di arrecare - quanto meno in astratto - dei disagi, altra cosa è ritenere che questi stessi disagi siano, di per sé, sufficienti a fondare l’interesse a ricorrere avverso l’impugnativa di una variante  urbanistica, successiva e modificativa degli strumenti urbanistici e autorizzatori che avevano reso, già in passato, legittimi detti impianti.
4.3 Si consideri ancora – a dimostrazione dell’inesistenza di un interesse a ricorrere - che la variante ora impugnata non ha alcun effetto (classificatorio o altro) nei confronti delle proprietà degli stessi ricorrenti, limitandosi a prevedere gli interventi citati solo ed esclusivamente nei confronti delle aree di proprietà della Superbeton.
5. A ulteriore conferma dell’inesistenza dell’interesse a ricorrere va, in ultimo, rilevato come gli attuali ricorrenti non hanno proceduto (nessuno di essi per quanto consta a questo Tribunale) all’impugnativa dei permessi di costruire emanati dal Comune di Nervesa in attuazione della variante di cui si tratta e, ciò, pertanto con riferimento a provvedimenti che determinano l’effettiva attuazione delle prescrizioni contenute nella variante di cui si tratta.
5.1 Deve, infatti, essere evidenziato la circostanza in relazione alla quale la stessa emanazione di detti permessi fosse espressamente contenuta nelle premesse della delibera impugnata e, ancora, come detti permessi costituiscano essi stessi dei provvedimenti ultimi, suscettibili di concludere il procedimento instaurato con la presentazione di un permesso di costruire e, quindi, di cagionare quelle presunte lesioni la cui esistenza è stata solo genericamente affermata dagli stessi ricorrenti.
6. Il ricorso proposto dai sopracitati ricorrenti va, pertanto, dichiarato inammissibile per mancanza dell’interesse a ricorrere".

sentenza TAR Veneto 469 del 2013

DIA: è perentorio il termine per esercitare il potere inibitorio; dopo la sua scadenza, la p.a. conserva poteri di autotutela

24 Apr 2013
24 Aprile 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 535 del 2013 contiene una interessante disamina delle questioni più rilevanti che si agitano in tema di DIA.

Scrive il TAR: "parte ricorrente, richiedendo una pronuncia di annullamento delle DIA, nei termini sopra precisati, non considera le innovazioni giurisprudenziali introdotte dall’Adunanza Plenaria n.15/2011 – limitatamente alla parte in cui ha sancito la natura perentoria del termine per l’esercizio del potere inibitorio - e, ancor di più, non tiene conto di quanto disposto dal comma 6 ter dell'art. 19 della L. n. 241/1990 (introdotto dall'art. 6 del D.L. n. 138/2011) laddove, ha di fatto, determinato il superamento, quanto meno parziale, proprio delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria n.15/2011.
3.1 La natura perentoria del termine per l’esercizio del potere inibitorio è stata confermata, anche di recente, da quella Giurisprudenza (Consiglio di Stato sez. VI 14 novembre 2012 n. 5751) laddove si è affermato che “il termine per l'esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di d.i.a., è perentorio; comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela. Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme vigenti, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a
giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio”.
3.2 In detto contesto giurisprudenziale si è inserito, dapprima il D.L. 138/2011 e, in seguito, la legge n. 148/2011 di conversione dello stesso decreto legge che, in particolare, ha soppresso le parole "si riferiscono ad attività liberalizzate" contenute nel primo periodo e, ancora, ha inserito la parola "esclusivamente", dopo la parola "esperire". Ne è derivato il vigente tenore letterale in base al quale "La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104".
2.2 Detta ultima disciplina legislativa ha, pertanto, previsto che la tutela della posizione giuridica soggettiva del terzo, a seguito del deposito di una DIA (ora SCIA) ritenuta lesiva, debba comportare l’esperimento “in via esclusiva”, dell’azione in materia di silenzio e di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3, D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, determinando il venir meno del dibattito giurisprudenziale e dottrinario diretto a rilevare se, a seguito del decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio si produceva un atto tacito o, al contrario, se risultava in essere un titolo idoneo a legittimare l’esercizio di un’attività privata.
2.3 L’arresto legislativo sopra citato, determinante ai fini della pronuncia di inammissibilità di cui tratta, ha determinato il venire in essere di successivi orientamenti giurisprudenziali nell’ambito dei quali si è sancito, tra l’altro, il superamento della nozione di atto tacito a seguito del decorso del termine inibitorio e, ciò, laddove si è affermato che “la dichiarazione di inizio attività oggi, sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) per effetto dell'entrata in vigore del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito dalla l. 30 luglio 2010 n. 122 non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge (T.A.R. Napoli Campania sez. VIII 06 novembre 2012 n. 4431)”.
3. L’innovazione legislativa sopra ricordata ha, così, determinato il contestuale superamento delle forme di tutela tradizionalmente attribuite al terzo, leso dagli effetti del proponimento di una segnalazione certificata di inizio di attività, determinando, nel concreto, il superamento delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria sopra citata e, ciò, per quanto attiene l’ammissibilità, rispettivamente, sia dell’azione di annullamento (nell’ipotesi in cui fosse spirato il termine per l’esercizio del potere inibitorio) sia, nel contempo dell’azione di accertamento nell’eventualità in cui il termine di cui sopra non sia ancora spirato.
4. In questo senso non può non ricordarsi come tra le correzioni ed integrazioni del Codice del processo amministrativo introdotte dal D.lgs. 15 novembre 2011, entrato in vigore il 9 dicembre 2011, vi è l’introduzione, all’art. 31 comma 1, dopo le parole “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo”, della frase “e negli altri casi previsti dalla legge” cui segue il periodo, rimasto immutato “chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”.
4.1 Detta circostanza, ed in particolare il riferimento agli “altri casi previsti dalla legge” nei quali è possibile esperire il giudizio per “silentium”, ha l’effetto di estendere l’esperimento di detto procedimento anche nell’ipotesi in cui i termini relativi al potere inibitorio non siano ancora trascorsi (T.a.r. Veneto, Sez. II, 5 marzo 2012, n. 298).
5. Detta disciplina e dette conclusioni sono pienamente applicabili al caso di spese".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 535 del 2013

Quando spetta alla Giunta comunale fissare i criteri per l’occupazione del suolo pubblico?

24 Apr 2013
24 Aprile 2013

La Giunta comunale del Comune di Venezia, recependo i criteri previsti dal regolamento comunale disciplinate il “Canone di occupazione spazi ed aree pubbliche” approvato con delibera del Consiglio comunale del 08.09.199 n. 35, procedeva - con la deliberazione del 03.04.2009 n. 132 - alla revoca delle concessioni comportanti le occupazioni del suolo pubblico ed alla conseguente gara pubblica per la loro riassegnazione.

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 16 aprile 2013 n. 581, giunge ad affermare che le determinazioni de qua spettano alla Giunta comunale laddove a monte vi sia una determinazione consiliare che fissa i criteri: “Quanto alla prima doglianza, attinente alla incompetenza della giunta comunale, il Collegio non può che richiamare la giurisprudenza in base alla quale ai sensi dell’art. 42, comma 1, del T.U. n. 267/2000 “il Consiglio comunale, organo di indirizzo e di controllo politico – amministrativo, ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali ad emanare: “a) statuti dell'ente e delle aziende speciali, regolamenti salva l'ipotesi di cui all'articolo 48 comma 3, criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi”.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa dal quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi se è vero che in base al combinato disposto dei richiamati artt. 42 e 48 del T.U. Enti Locali la competenza regolamentare spetta all’organo consiliare, mentre alla Giunta tale competenza è attribuita solo per la limitata materia dell’ordinamento degli uffici e dei servizi, è altrettanto vero che quest’ultima può approvare atti che siano espressione di autonomia normativa laddove a monte vi sia un provvedimento consiliare che abbia prefissato in modo preciso e chiaro i principi da seguire.

Allora sulla scorta delle predette argomentazioni non sussiste, nella fattispecie in esame, come già affermato da questo stesso Tribunale nella sentenza n. 1754/2007, la dedotta incompetenza in quanto l’art. 5 del Regolamento C.O.S.A.P., approvato con delibera del Consiglio Comunale, demanda espressamente ai Consigli di Quartiere la formulazione dei “criteri in base ai quali concedere le occupazioni permanenti di pubblici esercizi legate al commercio” per individuare “i luoghi ove si intende favorire, limitare o escludere l’occupazione di suolo pubblico e le attività da incentivare o da disincentivare attraverso lo strumento dell’occupazione di suolo pubblico”. E del resto tale scelta, a differenza di quanto affermato dalla società ricorrente, non risponde tanto alla logica della delega, quanto piuttosto a quella della sussidiarietà verticale secondo la quale la regolamentazione dell’interesse pubblico è tendenzialmente affidata all’organo più vicino allo stesso.”(cfr. questa sezione, n.597/09)”.

Il Collegio sottolinea altresì l’importanza della partecipazione dei soggetti interessati atteso che: “La partecipazione alla procedura si configura dunque quale opzione necessaria ai fini della conservazione del bene della vita già in godimento, una volta che la cessazione anticipata sia stata disposta da un atto di pianificazione volto alla riassegnazione delle concessioni mediante procedure di evidenza pubblica.( Sent. n. 1356/2013 Cons.St.sez V)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 581 del 2013

Le piazze sono beni culturali a prescindere dalla specifica dichiarazione di interesse culturale

23 Apr 2013
23 Aprile 2013

Come emerge dal combinato disposto dell’art. 10, c. 1 e 3, D. Lgs. 42/2004 (secondo cui: “1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici  territoriali, nonché' ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro , ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” e “3. Sono altresì beni culturali, quando sia  intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13:

    a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;

    b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;

    c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;

    d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;

    e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle  indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse”) e dall’art. 10, c. 4, lett. g), D. Lgs. 42/2004 secondo cui: “4. Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a) (...) g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti  urbani di interesse artistico o storico”, appare chiaro ed incontrovertibile che anche le piazze sono da considerarsi ex lege beni culturali.

Quanto esposto è altresì confermato dalla Direttiva 11.10.2012 del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, concernente “l’esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale” la quale chiaramente afferma che: “in ogni caso, anche tutte le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani per i quali non sia stato emanato un puntuale provvedimento di vincolo, ma appartenenti a soggetti pubblici e realizzate da oltre settanta anni, sono comunque sottoposte interinalmente all’applicazione del regime di tutela della Parte Seconda del Codice”.

La recente giurisprudenza amministrativa e costituzionale, infatti, correttamente riconduce le piazze pubbliche (realizzate da oltre settant’anni) alla categoria dei beni culturali, indipendentemente dall’avvio del procedimento di verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dall’art. 13 del D. Lgs. 42/2004 (a tal fine si veda: Cons. Stato, sez. VI, 24.01.2011, n. 482 secondo cui: “Ai sensi del comma 1 dell'art. 10, d.lg. n. 42 del 2004 le piazze pubbliche sono " beni culturali " in quanto complesso appartenente ad un ente pubblico territoriale, onde non è richiesto che siano fatte oggetto di apposita dichiarazione di interesse storico-artistico, al fine di rientrare nella sfera di applicazione della relativa legislazione”; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 01.03.2013, n. 307 secondo cui: “Dall'art. 10 comma 4, lett. g), Codice dei beni culturali e del paesaggio discende la riconduzione ex lege alla categoria dei beni culturali delle piazze pubbliche, appartenenti all'ente territoriale e realizzate da oltre settant'anni, che presentano interesse artistico e storico, indipendentemente dall'avvio del procedimento di verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dal successivo art. 13 del Codice, con la conseguente immediata applicazione del regime di tutela disciplinato dalla parte seconda del Codice”; Corte cost., 08.07.2010, n. 247).

 dott. Matteo Acquasaliente

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TAR_Puglia Bari 307 del 2013

Una strada vicinale inserita nei pubblici elenchi ma non individuabile nella realtà esiste ancora?

23 Apr 2013
23 Aprile 2013

Il Consiglio di Stato ha pronunciato una interessante sentenza in materia di strade vicinali, la n. 1940 del 9.3.2013.

Alcuni cittadini avevano sottoscritto una petizione, chiedendo al Comune la riapertura di quattro strade vicinali di uso pubblico risalenti ai primi del ‘900, insistenti sui fondi degli appellanti.

Il Comune, sul presupposto che le strade vicinali esistessero da tempo immemorabile e fossero ancora percorribili da parte del pubblico e segnatamente da una serie di residenti nell’agro adiacente, accoglieva la richiesta ed emetteva un’ordinanza sindacale di rimozione delle recinzioni dei predetti fondi e di riapertura al pubblico transito delle strade vicinali, con ripristino della larghezza originaria.

Il Giudice di primo grado, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio che evidenziava la pressoché totale scomparsa degli antichi percorsi viari (la sentenza parla di “superamento dell’antica situazione viaria”), ad eccezione di uno, ha deciso tuttavia di disattendere le risultanze della perizia, respingendo il ricorso e confermando la legittimità dell’ordinanza.

Il Consiglio di Stato ha invece ritenuto la parziale fondatezza dei motivi di appello, sulla base della consulenza tecnica di ufficio svolta nel giudizio di primo grado e in ragione del principio, pacifico in giurisprudenza, che l’inserimento di strade nei pubblici elenchi non può costituire un diritto della collettività al loro utilizzo ove le strade non siano più realmente individuabili nella loro consistenza.

In particolare il Giudice d’appello ha statuito che l’ordinanza fosse illegittima in relazione alla riapertura di tre delle quattro strade vicinali in argomento: la citata perizia, infatti, aveva concluso che, per riaprirle, si sarebbero dovute sostenere difficili e costose opere di bonifica del tracciato ed opere infrastrutturali e che, comunque, esse non sarebbero state percorribili da automezzi ed ancor più non vi sarebbe una reale utilità pubblica.

L’ordinanza è stata invece confermata per quanto concerne la quarta strada vicinale di cui era stata ordinata l’apertura, in considerazione del fatto che “ … è sì caratterizzata da inerbimento e numerosi arbusti, ma potrebbe essere facilmente aperta tramite la bonifica del terreno e costituire un tragitto di scorciatoia anche per gli automezzi.

Insomma, considerato che anche per le altre tre strade il tecnico aveva rilevato le stese difficoltà di ripristinare l’antico percorso viario (per inerbimento, necessità di opere di bonifica ed infrastrutturali), parrebbe che a connotare la pubblica utilità sarebbe soltanto la possibilità di percorrimento con gli automezzi, che potrebbero così giovarsi di un percorso di “scorciatoia”.

avv. Marta Bassanese

Sentenza CDS 1940 del 2013

I comuni non possono pianificare le sole gioco e scommesse ex art. 110 TULPS se non nell’ambito della pianificazione nazionale

23 Apr 2013
23 Aprile 2013

Con le sentenze n. 577 e n. 578 del 16 aprile 2013, la Terza sezione del TAR per il Veneto ha annullato il Regolamento comunale di Vicenza per l’apertura di sale giochi, approvato con delibera del consiglio comunale n. 62/86323 del 19 Dicembre 2011, e l’art. 13-bis delle N.T.A. del P.R.G. di Vicenza, introdotto dalla variante alle N.T.A. di P.R.G., adottata con delibera del Consiglio comunale di Vicenza n. 5 in data 16 Febbraio 2012 ed approvata con delibera del Consiglio comunale di Vicenza n. 37 del 3 Luglio 2012.

L’art. 7 del sopra richiamato regolamento comunale prevede, in particolare, che le strutture in cui viene esercitata l’attività di scommessa rispettino le seguenti distanze:

- 500 metri da istituti scolastici, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale, luoghi di culto e caserme;

- 300 metri dal perimetro iscritto nella lista del patrimonio mondiale UNESCO relativo al centro storico di Vicenza con relativa Buffer zone c delle aree monumentali delle tre ville palladiane (La Rotonda – Trissino – villa Gazzotti Grimani detta villa Marcello o Bertesina) in considerazione dei primari obiettivi di tutela e valorizzazione del patrimonio storico e dell’impatto dell’attività di sala gioco su un contesto urbano caratterizzato da elevata fragilità;

- metri 100 dalle intersezioni stradali, riducibile a metri 50 se trattasi di intersezione tra strade locali in base alla classificazione viaria ai fini della salvaguardia dei livelli di servizio delle intersezioni.

L’art. 13-bis delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Vicenza recepisce, per quanto attiene alla realizzazione, trasformazione ed utilizzo di locali da destinare alla pratica del gioco, le prescrizioni contenute nel regolamento comunale per l’apertura di sale giochi sopra richiamato.

Secondo i Giudici del TAR, tali norme comunali vanno annullate per il fatto che esse, mirando a combattere la ludopatia, invadono la competenza legislativa statale in materia di tutela della salute e dell’ordine pubblico.

Tale competenza è stata esercitata dallo Stato con l’art. 1, comma settantesimo, della legge n° 20 del 2010 e con l’art. 7, decimo comma, del D. L. n° 158 del 2012, convertito nella legge n° 214 del 2012, dai quali si ricava “il principio che gli strumenti pianificatori di contrasto alla ludopatia devono essere decisi a livello nazionale o comunque essere inseriti nel sistema della pianificazione nazionale. Tale principio è coerente rispetto alle esigenze tutelate, che sono le medesime nell’intero territorio nazionale.

IL TAR esclude che la norma regolamentare e quella pianificatoria impugnate costituiscano esercizio dei poteri spettanti ai comuni ai sensi dell’art. 13 del Testo Unico degli Enti Locali, secondo cui spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, per i seguenti due motivi:

- lo stesso art. 13 esclude da tali funzioni le competenze attribuite ad altri soggetti dalla legge statale o regionale e, nel caso di specie, esistono le richiamate le disposizioni di legge che attribuiscono all’amministrazione nazionale le competenze in materia e non ai comuni;

- la potestà amministrativa, per essere esercitata, necessita di una specifica attribuzione legislativa ai sensi degli artt. 2, 23, 41, 42 e 97 della Costituzione. Tale specifica attribuzione legislativa difetta.

Il TAR precisa, inoltre, quali sono gli ambiti di intervento dei Comuni in materia:

-          i comuni possono intervenire nell’ambito della sopra richiamata pianificazione in sede di conferenza unificata ai sensi dell’art. 7 del D. L. n° 158 del 2012;

-          i sindaci, in caso di situazioni di effettiva emergenza, possono adottare ordinanze contingibili ed urgenti, come previsto dal Testo Unico degli Enti Locali.

A sostegno della competenza statale in materia, il TAR cita anche l’art. 88 del T.U.L.P.S., il quale  non prevede che il questore, nel rilasciare la licenza per l’esercizio dell’attività di scommessa, sia tenuto ad applicare prescrizioni stabilite dai comuni.

avv. Marta Bassanese

TAR Veneto n. 577 del 2013

TAR Veneto n. 578 del 2013

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