Author Archive for: SanVittore

Il vincolo idraulico (art. 96 r.d. 523 del 1904) vale per tutte le acque pubbliche (compreso il lago di Garda) e comporta inedificabilità assoluta

07 Nov 2012
7 Novembre 2012

La questione è esaminata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5620 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "L’art. 96 del regio decreto n. 523 del 1904 reca l’elenco dei “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”.
Nello specifico, la lettera f) vieta “le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
In punto di fatto, non è contestato che i lavori di ampliamento dell’hotel Venezia si siano svolti a distanza inferiore a dieci metri dalla sponda del lago. Gli appellanti sostengono però l’inapplicabilità alla fattispecie della disposizione in questione.
La tesi, però, non è fondata.
Il divieto di edificazione in oggetto ha carattere assoluto e riguarda in genere le acque pubbliche; tale è senz’altro il lago di Garda, sul quale l’albergo è costruito.
Nessuno dei rilievi opposti per affermare l’inapplicabilità del divieto alle sponde dei laghi resiste alla critica. Ciò si deve dire, in particolare, per gli argomenti che gli appellanti vorrebbero trarre dall’analisi delle norme contenute nel regio decreto citato.
Osservano gli appellanti che dal complesso delle disposizioni recate dall’art. 96 emergerebbe l’intento del legislatore dell’epoca di limitare la disciplina ai soli corsi d’acqua. Questa sembra piuttosto una petizione di principio, per di più in contrasto con l’alinea dell’articolo, che, nel fare riferimento alle acque pubbliche in genere, non pone alcuna restrizione del genere diversamente da quanto invece dispone l’art. 98, la lettera d) del quale testualmente è circoscritta a “le nuove costruzioni nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali”.
E’ poi irrilevante la circostanza che solo il successivo art. 97 menzioni espressamente i laghi. La disposizione della lettera n), alla quale ci si richiama, reca infatti una previsione particolare riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla dice circa la disciplina delle sponde, per la quale dunque non può non valere la norma generale dell’art. 96.
Il rilievo secondo cui l’inciso della lettera f) dell’art. 96 “dal piede degli argini e loro accessori come sopra” richiamerebbe “i fiumi, torrenti e canali navigabili” previsti dalla lettera e) che precede è del pari fallace, apparendo invece chiaro che esso, rispetto agli argini, si riferisce alle loro “banche o sottobanche”.
Che questa sia la corretta interpretazione delle norme lo dimostra poi una considerazione ulteriore di carattere generale. Se la finalità delle disposizioni in oggetto è quella di consentire il libero deflusso delle acque, è evidente che la medesima esigenza si pone con riguardo alle acque dei laghi, anch’esse soggette a innalzamenti di livello. Mentre infine non può rilevare che la violazione della regola sulla distanza non riguarderebbe il piano terra, ma un piano superiore, perché, così argomentando, si vuole introdurre una deroga, che la legge non conosce, al divieto di edificare, assoluto e inderogabile.
A una diversa conclusione, infine, non è possibile giungere prendendo in considerazione l’esistenza di altri manufatti a ridosso della riva del lago di Garda. Si tratta di circostanza che, genericamente affermata più che effettivamente dimostrata, andrebbe comunque esaminata con riguardo ai singoli casi concreti. Dato il divieto di edificabilità, peraltro, l’esistenza di eventuali abusi edilizi non potrebbe di per sé legittimare la pretesa a identico trattamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2105; Id., Sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1235).
L’accertata violazione della norma sulla distanza della costruzione dalle acque pubbliche è di per sé ragione sufficiente per giudicare illegittimo il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Malcesine".

sentenza cds 5620 del 2012

Cosa facevi di sera sotto le piante di kiwi?

06 Nov 2012
6 Novembre 2012

Una struttura in legno delle dimensioni di m 30,30 x 4,40, aperta sui lati e originariamente coperta da un telo (poi rimosso), è un pergolato per la coltivazione dei Kiwi o un riparo per le autovetture?

Se si valuta la questione in termini di et-et, è evidente che sotto i kiwi ci possono stare anche le macchine (quante cose si possono fare sotto le fronde degli alberi!).

Il TAR Veneto, invece, nella sentenza n. 1290 del 2012 valuta la faccenda in termini di aut-aut e conclude dicendo che è possibile distinguere tra un garage e una coltivazione di Kiwi e che le due cose non possono coesistere.

Scrive il TAR: "La descrizione dell’opera realizzata, sopra riportata, permette di evidenziare come si sia in presenza di un manufatto di dimensioni considerevoli e, ciò, a prescindere dal fatto che la copertura sia stata rimossa, ipotesi quest’ultima che se, da un lato, ha permesso al Giudice penale di ritenere non configurabile il reato di cui all’art. 44 lett. b) del Dpr 380/2001, non permette, ora, di qualificare lo stesso manufatto quale “pergolato” e di renderlo così astrattamente compatibile con l’incidenza su un area agricola.
5. Sul punto va ricordato l’esistenza di una pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV del 29 settembre 2011 n. 5409) che ha affermato come …”il pergolato, rilevante ai fini edilizi, deve essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, a mezzo delle quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni; di conseguenza non è riconducibile alla nozione di pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di pergolato .
6. Si consideri ancora come la Giurisprudenza prevalente (per tutti si veda T.A.R. Napoli Campania sez. VII 10 giugno 2011 n. 3099) ha sancito che ….” non rientra nella nozione di pergolato - e pertanto non è soggetta a d.i.a., bensì al rilascio di un permesso di costruire - un'opera costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, atti a rendere la struttura solida e robusta. In tal caso, infatti, le rilevanti dimensioni e consistenza delle travi utilizzate, il loro stabile collegamento (nella specie a mezzo di bulloni e perni metallici) con una platea cementizia appositamente realizzata, la notevole estensione superficiaria ricoperta e la presenza di una copertura (ancorché precaria) risultano chiaro indice dell'essere preordinata, l'opera, ad un utilizzo prolungato nel tempo e non certo provvisorio”.
7. E’, inoltre, necessario evidenziare come il semplice esame della documentazione fotografica addotta dalla stessa parte ricorrente, non solo consente di ritenere ai fini urbanistici “non provvisorio” detto manufatto, ma, al contrario, consente di ritenere verosimile la qualificazione operata dal Comune nel momento in cui lo ha qualificato quale “struttura in legno adibita al riparo delle autovetture”.
8. E’ allora evidente la legittimità del provvedimento impugnato che ha ritenuto il manufatto di cui si tratta in contrasto con le vigenti disposizioni urbanistiche che, come ricordato nei provvedimenti impugnati, consentono soltanto la realizzazione di opere a servizio del fondo rustico e dell’azienda agricola ad esso collegata".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1290 del 2012

Modifiche alla legge regionale veneta 15 del 2004 in materia di commercio

06 Nov 2012
6 Novembre 2012

Sul Bur n. 90 del 02 novembre 2012 è stata pubblicata la legge regionale veneta n. 42 del 26 ottobre 2012, recante "Interpretazione autentica degli articoli 8, 10 e 12 e novellazione dell'articolo 12 della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15 "Norme di programmazione per l'insediamento di attività commerciali nel Veneto".

legge regione Veneto n. 42 del 2012

Anche le opere monetizzate sono scomputabili dagli oneri di urbanizzazione

05 Nov 2012
5 Novembre 2012

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1293 del 2012.

Scrive il TAR: "per il maggior carico urbanistico derivante dall’intervento è stata prevista la possibilità per i ricorrenti di procedere alla monetizzazione degli standard necessari e di tale importo è espressamente riportato l’ammontare in convenzione, sia per le aree necessarie a parcheggio che per quelle destinate a verde attrezzato primario.
Il ricorso alla monetizzazione è, come noto, ammesso ogni qual volta non sia possibile, proprio in considerazione del livello di urbanizzazione presente nelle aree interessate, dare luogo alla realizzazione diretta degli interventi necessari da parte del soggetto lottizzante e la cessione a favore dell’amministrazione delle aree utilizzate.
L’ipotesi della monetizzazione è quindi equiparabile all’ipotesi ordinaria, nella quale il concessionario ha titolo allo scomputo totale o parziale della quota di contributo per oneri di urbanizzazione qualora, in luogo totale o parziale della stessa, si obblighi verso il Comune alla cessione delle aree e delle opere da realizzare o già esistenti.
Orbene, atteso che sia la normativa statale che quella regionale prevede che il richiedente il titolo edilizio per la realizzazione delle opere possa scomputare dagli oneri di urbanizzazione (fermo restando quanto dovuto per il costo di costruzione) il valore delle opere di urbanizzazione realizzate in attuazione di una convenzione urbanistica, proprio al fine di non dare luogo ad una duplicazione di prestazione a fronte della medesima causa (cfr. sul punto C.d.S., V, n. 807/1998 e T.A.R Veneto, II, n. 1132/2003), ne deriva l’illegittimità della previsione contenuta nella convenzione proprio nella parte in cui ha escluso il futuro scomputo dei suddetti oneri all’atto del rilascio del titolo edilizio (fermo restando, così come previsto dall’ultimo comma dell’art. 6, che dovrà in ogni caso essere versta l’eventuale maggior somma che dovesse determinarsi con riguardo agli oneri di urbanizzazione primaria)".

sentenza TAR Veneto 1293 del 2012

La cassazione penale sul “carico urbanistico”

05 Nov 2012
5 Novembre 2012

Allo stato attuale, manca una definizione legislativa di carico urbanistico: di regola,  sono i Piani Regolatori dei Comuni – o deliberazioni comunali ad hoc - a definire i criteri e le tabelle per calcolare il carico urbanistico dei diversi interventi edilizi.

La Corte di Cassazione, III sez. penale, con la sentenza del 5.10.2011, n. 36104, affronta il tema del carico urbanistico e degli interventi che ne determinano un aggravio, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza 29.01.2003 n. 12878), secondo cui la nozione di carico urbanistico “deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 02/04/1968, n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26, L. 47/1985 e art. 4 comma 7, L. 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell'immobile; e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10, L. 47/1985 e art. 4, L. 493/1993)”.

dott. Matteo Acquasaliente

La Corte Costituzionale giudica legittimo il computo degli iscritti all’AIRE per le elezioni nei comuni fino a 15.000 abitanti

05 Nov 2012
5 Novembre 2012

Segnaliamo la sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 2012, in materia di elezioni nei comuni fino a 15.000 abitanti.

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 71, comma 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per sospetto contrasto con gli articoli 1, secondo comma, 3, 48, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione.
La norma denunciata, in tema di elezioni nei comuni sino a 15.000 abitanti, per quanto nel presente giudizio rileva, testualmente dispone che, «ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista, e il candidato sindaco collegato, purché (…) il numero dei votanti non sia inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, la elezione è nulla».
Poiché nelle liste elettorali del comune, ai sensi dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960 n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) e successive modificazioni, risultano iscritti anche i cittadini «compresi nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE)» – con la possibile conseguenza, che nei comuni ad alto tasso di emigrazione, ciò possa condizionare in negativo il raggiungimento del quorum e quindi la validità della elezione – si denuncia dal rimettente che, appunto «nella parte in cui include i cittadini iscritti all’AIRE nel numero degli aventi diritto al voto al fine del calcolo percentuale, non inferiore al cinquanta per cento dei voti espressi, ai fini della validità del voto ottenuto dall’unica lista ammessa», la norma in questione contrasti con i richiamati precetti costituzionali, per la sua irragionevolezza e per violazione dei principi di partecipazione popolare e del diritto all’elettorato passivo, quanto ai candidati, nonché di quello di elettorato attivo di coloro che hanno espresso il proprio voto in favore della lista ammessa, in relazione anche al principio di uguaglianza, discriminando di fatto gli enti locali caratterizzati da fenomeni di migrazione rispetto agli altri comuni.

La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione.

sentenza Corte Costituzionale 242 del 2012

Decreto legge 185 del 2012 in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici

02 Nov 2012
2 Novembre 2012

E' stato pubblicato sulla GU n.254 del 30-10-2012 il decreto legge 29 ottobre 2012, n. 185, recante: "Disposizioni urgenti in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici. (12G0207)".

decreto legge 185 del 2012

Il potere di annullamento d’ufficio è discrezionale e non può essere sindacato dal tribunale

31 Ott 2012
31 Ottobre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1291 del 2012 esamina l'istituto dell'annullamento d'ufficio in via di autotutela.

Scrive il TAR: "Come insegna sia la dottrina che la Giurisprudenza, l'art. 21-nonies della l. n. 241/90 ha codificato le seguenti condizioni per l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte della P.A.: a) l'illegittimità dell'atto; b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico; c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole; d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere (Consiglio di Stato Sez. V, sent. n. 1946 del 07-04-2010)...

Constatata la legittimità del percorso logico-deduttivo posto in essere, l’esistenza di un’idonea motivazione e, soprattutto, la legittimità dell’applicazione dei presupposti dei principi introdotti dagli art. 21 quinquies e 21 nonies, nessun ulteriore sindacato rientra nella giurisdizione di questo Tribunale.
Va, infatti, ricordato che secondo i principi pacificamente affermati dalla Giurisprudenza (da ultimo Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 984 del 23-02-2012) ..” i provvedimenti di autotutela sono espressione dell'esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell'Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo. Qualora la P.A. intenda farlo deve, ai sensi dell'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e s.m.i., valutare puntualmente la sussistenza, o meno, di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto a fronte del corrispondente sacrificio del privato. Tale valutazione non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, per cui è sempre stato escluso l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in autotutela su un proprio provvedimento divenuto inoppugnabile (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio - Latina, sez. I, n. 187/2011)”.
5. L'introduzione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990 ha avuto l’effetto di disciplinare i presupposti e le forme dell'annullamento d'ufficio, ma non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all'autotutela amministrativa. Il potere di autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazione riservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice.
Ne consegue che il mancato esercizio del potere di annullamento d'ufficio, al di là dell’esame dei presupposti sopra ricordati, non può essere sindacato in sede giurisdizionale, spettando solamente all'amministrazione ogni valutazione e considerazione del proprio provvedimento, degli interessi dei privati concorrenti e del loro affidamento.

sentenza TAR Veneto 1291 del 2012

L’apposizione di un vincolo di tutela indiretta intorno a una villa richiede l’avviso di avvio del procedimento

30 Ott 2012
30 Ottobre 2012

Lo specifica la sentenza del TAR Veneto n. 1296 del 2012.

Scrive il TAR: "Per un costante orientamento giurisprudenziale il decreto di apposizione di un vincolo sui beni privati deve ritenersi illegittimo laddove non sia preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990. Detta Giurisprudenza ha sancito come l’obbligo di comunicazione in questione costituisca espressione di un principio generale al quale è consentito fare eccezione soltanto nel caso in cui, gli atti prodromici alla concreta imposizione del vincolo stesso, siano stati resi conoscibili dagli interessati con modalità diverse (si veda per
tutti Tar Piemonte n. 1255/2003 e Consiglio di Stato VI Sez. del 03/01/2000 n. 29).
Sempre il ricordato orientamento giurisprudenziale ha affermato come debba ritenersi illegittimo il decreto con cui il Direttore Generale del Ministero per i beni culturali o ambientali che appone un vincolo indiretto ex art. 21 L.1 Giugno 1939 n. 1089 su aree di proprietà privata, nel caso in cui l’adozione di detto decreto non sia stata preceduta dalla comunicazione agli interessati dell’avviso di avvio del procedimento (si veda sul punto anche Tar Lombardia Brescia n. 1360/2004).
2. E’ del tutto evidente che lo scopo perseguito dell’avviso ex art. 7 sopra citato, e per quanto attiene i vincoli indiretti, vada individuato in ordine, non solo alla possibilità del proprietario di partecipare al procedimento, ma contestualmente alla facoltà, dello stesso, di poter contribuire e incidere sulle determinazioni finali e relative all’estensione del vincolo, scelte nell’ambito delle quali non può non essere attribuito un ruolo determinante alla collaborazione del privato.
3. Sul punto va comunque dato atto di un altrettanto costante indirizzo giurisprudenziale, mutuato dalla procedura espropriativa, in base al quale l’Amministrazione ha il solo obbligo di individuare i proprietari sulla base delle risultanze catastali senza necessità di esperire ulteriori indagini sulla titolarità effettiva delle aree (Consiglio Stato sez. IV 28 febbraio 2002).
Tale ultimo orientamento deve ritenersi comunque non applicabile alla materia ambientale e, ciò, in presenza dell’art. 46 del D.Lgs. nella parte in cui detta norma ha ritenuto di attribuire autonomo rilievo ai principi già contenuti nell’art. 7 della L. n. 241/90, prevedendo, espressamente ed autonomamente, che l’avviso del procedimento per la tutela indiretta va comunicato al “proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile cui le prescrizioni di tutela indiretta si riferiscono”.

sentenza TAR Veneto 1296 del 2012

La posizione giuridica del soggetto che presenta un esposto al comune chiedendo che venga dichiarato decaduto un permesso di costruire

29 Ott 2012
29 Ottobre 2012

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con l’ordinanza del 25.10.2012 n. 644, chiarisce come, coloro che presentano un esposto al Comune, chiedendo l’accertamento della decadenza del permesso di costruire del vicino, per mancato inizio dei lavori entro l’anno, non sono da considerarsi ex se come controinteressati: “gli odierni ricorrenti, in qualità di presentatori dell’esposto da cui ha preso avvio l’attività di controllo da parte dell’amministrazione, non assumono la qualifica di contro interessati, per cui il Comune, all’esito dei controlli effettuati, non era tenuto ad effettuare le comunicazioni ai sensi dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990”.

L’interesse di tali soggetti, infatti, “risulta soddisfatto dall’avvio dei controlli effettuati dall’amministrazione, essendo rimessa alla valutazione della stessa, all’esito degli accertamenti operati, l’adozione del provvedimento di decadenza del permesso di costruire”.

Il T.A.R. conferma le considerazione già espresse in un caso analogo: “Premesso che l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 risulta applicabile ai soli atti a istanza di parte, in materia di decadenza (nella specie: decadenza da permesso di costruire ) e con riguardo al caso in cui l'azione d'ufficio sia eccitata da un terzo mediante diffida, posto che la pronuncia di decadenza si configura come atto d'ufficio la diffida ha la sola funzione di far determinare l'amministrazione all'adozione del provvedimento, ma una volta che questa abbia autonomamente deciso di avviare il procedimento di decadenza e, acquisite le deduzioni delle parti interessate, decida per l'archiviazione dello stesso, la posizione del diffidante è del tutto recessiva per non dire irrilevante di fronte all'azione pubblica; in altri termini due sono i procedimenti, quello cui mira la diffida e quello deciso dalla p.a.; la pretesa del diffidante è dunque soddisfatta con l' avvio del procedimento di decadenza , le cui vicende sono tuttavia governate esclusivamente dalla amministrazione, la quale richieste le deduzioni delle parti si determina discrezionalmente; non deve dunque essere attivato il sub procedimento dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 comportante il preavviso di diniego per consentire così agli stessi istanti di controdedurre ulteriormente (fattispecie relativa a richiesta di adozione di decadenza dal permesso di costruire , il cui procedimento , avviato a seguito di diffida, si era concluso con un'archiviazione) (T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 14.11.2008, n. 3550).

dott. Matteo Acquasaliente

ordinanza tar Veneto 644 del 2012

sentenza tar Veneto 3550 del 2012

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