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I rapporti tra la variante urbanistica ed il PI

21 Mar 2013
21 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 19 marzo 2013 n. 417, si occupa dei rapporti tra gli strumenti urbanistici: il ricorrente contesta la legittimità della procedura di adozione della variante urbanistica per la realizzazione dell’anello circonvallatorio a Nord della città di Verona, in quanto adottata tramite una modifica al P.R.G., a sua volta divenuto inefficace in seguito all’adozione del PAT. In particolare, “secondo i ricorrenti, la declaratoria di illegittimità della variante de qua vizierebbe, caducandolo, il Piano degli Interventi adottato nelle more del giudizio in quanto si tratterebbe di un atto meramente confermativo della variante medesima e privo di una propria natura autonoma”.

 Chiarito che: “successivamente alla proposizione dell’odierno gravame, il Comune di Verona ha adottato e approvato il Piano degli interventi, che completa lo strumento urbanistico comunale in attuazione delle previsioni del piano di assetto del territorio (PAT) con deliberazione del Consiglio comunale n. 91 del 23.12.2011, divenuta efficace il 13.3.2012”, il Collegio ritiene che: “2.4. L’esame del rapporto fra gli strumenti urbanistici in questione non consente di assegnare al Piano degli Interventi, in ragione del recepimento medesimo, natura meramente confermativa della variante urbanistica n. 305, dovendosi pertanto escludere un eventuale effetto caducante dell’annullamento di quest’ultima nei confronti del Piano medesimo.

2.5. Ed invero, deve rilevarsi sul punto che nell’ambito del fenomeno generale dell’invalidità derivata, va distinta la figura dell’ “invalidità caducante” da quella dell’invalidità “ad effetto viziante”, potendosi realizzare la prima solo quando il provvedimento annullato in sede giurisdizionale costituisce il presupposto unico ed imprescindibile dei successivi atti consequenziali, esecutivi e meramente confermativi, sicché il suo venir meno travolgerebbe automaticamente – e cioè senza che occorra un’ulteriore specifica impugnativa – tali atti successivi strettamente e specificamente collegati al provvedimento presupposto.

2.6. Si ha invece un’invalidità ad effetto solo viziante in tutte le diverse ipotesi nelle quali si è in presenza di provvedimenti presupponenti solo genericamente o indirettamente connessi a quello presupposto, di guisa che, proprio per la rilevata assenza di uno specifico legame di dipendenza e/o di presupposizione, tali atti successivi non rimangono travolti ipso iure dall’invalidità dell’atto presupposto, occorrendo per la loro eliminazione una esplicita pronuncia giurisdizionale di annullamento (a seguito, ovviamente, o della loro contestuale impugnazione con lo stesso ricorso principale o della loro successiva impugnazione con i motivi aggiunti o con autonomo ricorso).

2.7. Orbene, l’annullamento in sede giurisdizionale dell’atto di approvazione della variante n. 305 non produrrebbe certamente effetti “caducanti” nei confronti del PI, atteso che quest’ultimo atto, ancorché collegato al precedente, è senz’altro frutto di una nuova valutazione di interessi avente carattere innovativo”.

 Di conseguenza: nel caso di specie, sussisteva senz’altro l’onere di impugnare il successivo atto di pianificazione urbanistica, ancorché fosse già impugnato quello oggetto di recepimento, in quanto i due provvedimenti non risultano legati da un rapporto di presupposizione o consequenzialità diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente”.

 Con specifico riferimento ai rapporti tra la variante de qua ed il PI, il T.A.R. Veneto altresì aggiunge che i vizi contestati con riguardo alla variante urbanistica non si producono -in via derivata - anche sul PI, atteso che: “4.2. Deve, al riguardo, rilevarsi che i due strumenti urbanistici, oltre a non essere fra loro collegati da un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, non risultano avvinti da un nesso procedimentale né diretto né indiretto, poiché il PI è normativamente legato, quale suo completamento, al Piano di Assetto Territoriale.

4.3. A ciò deve aggiungersi che il recepimento della variante n. 305 ad opera del PI, per quanto in esso non espressamente previsto, non è idoneo a trasferire su quest’ultimo i vizi eventualmente sussistenti nella originaria procedura di adozione della variante medesima: detto recepimento opera infatti un rinvio recettizio al “contenuto” dell’atto richiamato e non già un rinvio alla “fonte” normativa utilizzata per l’adozione di esso.

4.4. Alla stregua di tali considerazioni deve quindi ritenersi che l’adozione del Piano degli Interventi rende in ogni caso improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso introduttivo relativamente a tutte le censure svolte nei confronti della specifica procedura di adozione della variante in esso recepita, poiché attinenti alla “fonte” di essa, allo stato non più rilevante in quanto totalmente sostituita dall’esercizio del nuovo potere pianificatorio”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 417 del 2013

Nel ricorso amministrativo vi è l’obbligo di indicare i motivi di diritto in modo specifico

21 Mar 2013
21 Marzo 2013

L’art. 40, c.p.a., come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. f), D. Lgs. 160/2012 recita: “1. Il ricorso deve contenere distintamente:

a) gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto;

b) l'indicazione dell'oggetto della domanda, ivi compreso l'atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza;

c) l'esposizione sommaria dei fatti;

d) i motivi specifici su cui si fonda il ricorso;

e) l'indicazione dei mezzi di prova;

f) l'indicazione dei provvedimenti chiesti al giudice;

g) la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale.

2. I motivi proposti in violazione del comma 1, lettera d), sono inammissibili”.

Recentemente il T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, con la sentenza del 14 dicembre 2012 n. 1213, ha affermato che: “giova ricordare che nel ricorso presentato al giudice amministrativo i motivi di gravame, pur se non rubricati in modo puntuale né espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, devono essere però esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale (per tutte Consiglio di Stato, sez. VI, 9 luglio 2012, n. 4006), oltre che per rispondere ad esigenze di certezza e garanzia, così come espressamente chiarito e prescritto dal vigente articolo 40 del D.Lgs 2 luglio 2010, n. 104 (recante il codice del processo amministrativo), formulato sulla base della normativa (art. 6 n. 3, R.D. 17 agosto 1907 n. 642, applicabile ai ricorsi dinanzi ai Tar per effetto dell’art. 19 comma 1, legge 6 dicembre 1971 n. 1034) e dell’esperienza giurisdizionale pregresse, nel quale si richiede l’esposizione “dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso”;

conseguentemente, deve ritenersi inammissibile il ricorso che, in violazione del citato art. 40 CPA, non contenga l’esposizione dei “motivi specifici” su cui il ricorso medesimo trova giustificazione e fondamento (TAR Toscana, sez. III, 11 novembre 2011, n. 1675);

giova, altresì, rilevare che, il citato art. 40 CPA è stato modificato dall’art. 1, comma 1, lett. f) del D. Lgs. 14 settembre 2012, n. 160 (c.d. secondo correttivo), applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, in forza del quale il ricorso deve contenere “distintamente” i motivi “specifici” su cui si fonda;

è stato osservato, in particolare, che la novella, pur senza modificare il contenuto del ricorso rispetto alla disciplina precedente, ha chiarito ulteriormente che i motivi sui quali esso si fonda devono essere “specifici” e che eventuali motivi proposti in violazione di detta regola sono inammissibili;

detta inammissibilità consegue non solo al difetto di specificità dei motivi, ma altresì all’ipotesi in cui la loro indicazione non avvenga “distintamente”;

pertanto, i motivi devono essere contenuti nell’apposita parte del ricorso ad essi dedicata, e devono essere specifici, a pena di inammissibilità;

lo scopo della disposizione è di incentivare la redazione di ricorsi “chiari”, a fronte di una prassi in cui i ricorsi non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con conseguente frequente rischio dei c.d. “motivi intrusi”, ossia inseriti in parti del ricorso dedicate al fatto (Consiglio di Stato, sez. VI, 24 giugno 2010 n. 4016);

a tale proposito, il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che se il ricorso amministrativo viene diviso in "fatto" e "diritto", i motivi di censura devono essere contenuti nella parte in diritto, e sono per l’effetto inammissibili i motivi intrusi, contenuti cioè nella parte in fatto, principio questo codificato dal ricordato secondo correttivo del codice del processo amministrativo, in sede di novella dell’art. 40 (Consiglio di Stato sez. VI, 25 ottobre 2012, n. 5469);

passando al caso in esame e facendo applicazione degli esposti principi, si deve rilevare che parte ricorrente omette di formulare i motivi di ricorso nei termini sopra precisati, cioè in termini “specifici”, limitandosi ad esporre una sorta di “forte protesta” per la condotta tenuta dalla Capitaneria di Porto di Crotone, la quale, peraltro, ha assunto il provvedimento contestato con innegabile ritardo;

in particolare, nella parte dedicata al “diritto”, la ditta ricorrente si duole genericamente di come la Capitaneria di Porto non abbia osservato alcun articolo o precetto delle leggi n. 241/1990 e n.15/2005, ma detta doglianza risulta espressa in modo del tutto generico ed inidoneo a chiarire, precisare e specificare i vizi effettivamente denunciati e che inficerebbero il provvedimento di diniego impugnato;

altrettanto è a dirsi per la parte del ricorso che –per quanto non espressamente indicato –dovrebbe riguardare il “fatto” della questione, nella quale la ricorrente ripercorre la tortuosa vicenda in discussione, senza peraltro specificare in maniera puntuale i vizi del provvedimento contestato, con la conseguenza che detti argomenti risultano inammissibili non solo in quanto “motivi intrusi” nel senso sopra chiarito, ma anche e soprattutto, in quanto espressi in maniera del tutto generica ed approssimativa, difettando, quindi, del requisito della “specificità”;

oltre tutto, dalle conclusione formulate in ricorso non emerge nemmeno con chiarezza se parte ricorrente ha inteso chiedere l’annullamento, previa sospensione cautelare, del provvedimento impugnato, ovvero abbia inteso agire con il rito speciale del silenzio ex artt. 31 e 117 CPA;

in definitiva, per tutte le esposte ragioni, il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile”.

L’obbligo di motivare, a pena di inammissibilità, i motivi di diritto in modo chiaro, specifico e separato è confermato anche dall’articolo di Gaetano Ciccia “Processo amministrativo, la p.a. non avrà più vie di fuga”, pubblicato su Italia Oggi il 24.09.2012.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Catanzaro n. 1213 del 2012

Il divieto di accedere a manifestazioni sportive riguarda anche il c.d. pericolo della lesione dell’ordine pubblico

21 Mar 2013
21 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 18 marzo 2013 n. 388, si occupa del divieto di accedere a luoghi ove si tengono le manifestazioni sportive disciplinato dall’art. 6, l. 13.12.1989 n. 401, - il cui comma 1 recita: “1. Nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui all'articolo 4, primo e  secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, all'articolo 6-bis, commi 1 e 2, e all'articolo 6-ter, della presente legge, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore può disporre il divieto di accesso ai  luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché' a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime. Il divieto di cui al presente comma può  essere  disposto anche per le manifestazioni sportive che si  svolgono  all'estero, specificamente indicate, ovvero dalle competenti Autorità degli altri Stati membri dell'Unione europea per le manifestazioni sportive che si svolgono in Italia. Il divieto di cui al presente comma può essere, altresì, disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulta avere tenuto una condotta  finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse”, - stabilendo che: “Come è noto l’art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, ha previsto l’esercizio di un potere interdittivo esercitabile nei confronti di chiunque, in occasione o a causa di manifestazioni sportive, tenga una condotta comunque tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica, sicché la misura di divieto di accesso a impianti sportivi può essere disposta non solo nel caso di accertata lesione, ma anche in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, come nel caso di semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 dicembre 2010, n. 9074).

Infatti dopo le modifiche apportate dal sopra menzionato art. 2 del decreto legge 8 febbraio 2007, n. 8, il divieto può essere legittimamente disposto anche nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti aver tenuto una condotta tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni sportive (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 23 ottobre 2012, n. 1282; Tar Trentino Alto Adige, Bolzano, 1 settembre 2008, n. 309; per parte della giurisprudenza il requisito della rilevanza penale del fatto e della previa denuncia non erano necessari neppure prima della novella legislativa: cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3532; Tar Toscana, Sez. I, 20 marzo 2008, n. 419; Tar Umbria, 10 novembre 2006, n. 552), e ciò anche in assenza di una denuncia per un reato”.

dott. Matteo Acquasaliente

 TAR n. 388 del 2013

L’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione per le opere pubbliche o di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, ai sensi dell’art. 17 n. 3 lett. C del D.P.R. n. 380/2001

20 Mar 2013
20 Marzo 2013

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 296 del 2013: "viene in discussione la tematica dell’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione per le opere pubbliche o di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, ai sensi dell’art. 17 n. 3 lett. C del D.P.R. n. 380/2001. Lo sgravio contributivo in esame esige il concorso di due presupposti, e cioè, uno oggettivo, ovvero l’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale, e l’altro soggettivo, ovvero l’esecuzione delle opere da parte di enti istituzionalmente competenti, vale a dire da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale, ovvero da parte di privati concessionari dell’ente pubblico, purché le opere siano inerenti all’esercizio del rapporto concessorio (Cons. Stato n. 2226/2005).
Il fine dell’applicazione della norma, fondata dunque sul presupposto oggettivo della natura delle opere e su quello soggettivo della qualità dell’ente realizzatore, è chiaramente quello di assicurare una ricaduta del beneficio dello sgravio a vantaggio della collettività, nel senso che la gratuità della concessione si traduce in un abbattimento dei costi, a cui corrisponde, in definitiva, un minore aggravio di oneri per il contribuente. Va poi evidenziato che la disposizione sopra riportata deve ritenersi di stretta interpretazione, in quanto introduce ipotesi di deroga alla regola generale (art. 16 del D.P.R. n. 380/2001) che assoggetta a contributo tutte le opere che comportino trasformazione del territorio, in relazione agli oneri che la collettività, in dipendenza di esse, è chiamata a sopportare. Le opere per cui può ipotizzarsi lo sgravio dagli oneri concessorii devono, dunque, rivelare innanzitutto un carattere direttamente satisfattivo dell’interesse della collettività, di per sè stesse – poiché destinate ad uso pubblico o collettivo – o in quanto strumentali rispetto ad opere del genere anzidetto, o comunque perché immediatamente collegate con le funzioni di pubblico servizio espletate dall’ente realizzatore. Il beneficio della gratuità della concessione richiede poi che l'opera avente le suddette caratteristiche sia realizzata da un soggetto istituzionalmente competente, sia cioè realizzata dall'ente per il perseguimento dei suoi fini istituzionali, e cioè per la cura di quegli interessi a lui affidati e che ne rappresentano la ragion d'essere. Ciò premesso, nel caso di specie, entrambi i requisiti di ordine soggettivo e oggettivo non appaiono sufficientemente integrati. Quanto al requisito di ordine soggettivo, si è detto che il legislatore richiede che le opere – ammesse allo sgravio contributivo - siano realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, con la conseguente necessità che sussista un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione: la giurisprudenza prevalente ha identificato tale vincolo nella concessione di costruzione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie. Deve cioè trattarsi di attività compiuta da un concessionario, o più in generale da un soggetto che curi istituzionalmente la realizzazione di attività d'interesse generale. Ebbene, nel caso in esame, i permessi di costruire in questione sono stati rilasciati, in attuazione del piano integrato di riqualificazione urbanistica edilizia ed ambientale (P.I.R.U.E.A.), per la realizzazione, a totale cura e spese della Fondazione Cassamarca, in area di sua proprietà, della c.d. “cittadella delle istituzioni”, ovvero di un complesso edilizio composto da edifici di varia destinazione, fra cui, per quanto interessa il presente ricorso, da edifici da destinare ad “uffici di enti p ubblici anche economici, uffici di aziende speciali per la gestione dei servizi pubblici locali, uffici di società di capitali costituite o partecipate da enti pubblici”.
Ora, innanzitutto, la Fondazione Cassamarca, in quanto fondazione, è un soggetto dotato di personalità giuridica di diritto privato, che secondo il vigente ordinamento, sebbene privo di scopo di lucro, non è preposto alla realizzazione di opere pubbliche, persegue interessi non pubblici ma privatistici, e non agisce per conto di alcun ente pubblico, difettando qualsiasi collegamento organizzativo-funzionale o giuridicamente rilevante con l’apparato della Pubblica Amministrazione.  In proposito il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3774/2005, ha stabilito che le fondazioni, per tali ragioni, di regola, non possono beneficiare dell’esonero dal contributo di costruzione a norma dell’art. 17, comma 3, lett. c), D.P.R. n. 380/2001. In particolare, poi, la Fondazione Cassamarca persegue, in base al suo statuto, “scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico preminentemente nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della sanità, della conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, delle attività culturali..dell’immigrazione”. Considerata la natura degli scopi perseguiti, appare difficile farvi rientrare la realizzazione di opere pubbliche, ed è ancor più arduo cogliere un nesso con la realizzazione di edifici da destinare a sedi di pubbliche amministrazioni. Per cui non risulta che la Fondazione Cassamarca possa vantare una “competenza istituzionale” specifica con riferimento alla realizzazione di opere pubbliche o di opere edilizie del tipo di quelle realizzate nel caso di specie.
Inoltre, tra il Comune di Treviso e la Fondazione Cassamarca non è configurabile l’esistenza di un rapporto neppure latamente assimilabile ad una concessione o ad un appalto di opera pubblica, in quanto, come condivisibilmente osservato dalla difesa dell’amministrazione, la Fondazione non ha ricevuto un previo incarico da parte di un ente pubblico per realizzare per suo conto una nuova sede istituzionale, avendo invece, prima realizzato una determinata volumetria con  destinazione “direzionale pubblico”, in attuazione di un progetto di P.I.R.U.E.A. adottato su sua proposta, e poi ricercato gli occupanti (nel caso di specie, Prefettura, Questura, Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate, Polizia di Stato, etc.) ai quali sono stati concessi in locazione i locali. Infine, si osserva che l’applicazione dell’esenzione dal contributo di costruzione al caso in esame, non sarebbe coerente con lo scopo dell’esenzione che, come detto, è quello di non far gravare sulla collettività il peso di tale contributo attraverso un maggior costo dell’opera pubblica. Viceversa, nel caso di specie, il costo dell’opera, compreso il contributo di costruzione, rimane interamente a carico di Appiani s.r.l. e della Fondazione Cassamarca. Non si tratta, dunque, di spese che possono ricadere sulla collettività. Deve concludersi, pertanto, che, quantomeno sotto il profilo soggettivo, non sussiste nel caso in esame il presupposto della speciale qualità dell’ente realizzatore, richiesto dalla legge per la concessione del beneficio invocato".

sentenza TAR Veneto 296 del 2013

La garanzia fideiussoria non si applica agli acquisti in economia

20 Mar 2013
20 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 14 marzo 2013 n. 379, ritiene che l’affidamento di un servizio in economia non necessità della garanzia fideiussoria prevista dell’art. 75, c. 8, D. Lgs. 163/2006 il quale prevede che: “L'offerta è altresì corredata, a pena di esclusione, dall'impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l'esecuzione del contratto, di cui all'articolo 113, qualora l'offerente risultasse affidatario”.

Il Collegio, infatti, osserva che: “nel caso in cui, come quello di specie, si tratti di un appalto sotto soglia da aggiudicarsi mediante l’espletamento di procedure di acquisizione in economia di servizi e forniture, la stazione appaltante non è obbligata a richiedere l’inclusione nelle domande di partecipazione alla gara di una garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, atteso che l’art. 125 del codice dei contratti pubblici, recante la disciplina delle menzionate procedure in economia e per cottimo fiduciario, non contiene alcun rinvio alla garanzia di cui all’art. 75, comma 8, del d.lgs. 163/2006, la quale può trovare applicazione soltanto nel caso in cui, ma non è quello di specie, la stazione appaltante l’abbia espressamente richiamata nella lex specialis di gara”.

Nella medesima sentenza il T.A.R. si sofferma sulla possibile commistione tra i criteri soggettivi di ammissione alla gara ed i criteri di valutazione del merito tecnico: come già evidenziato nel post del 04 marzo 2013, il Collegio li ritiene ammissibili (negli appalti di servizi) atteso che: “nel caso in cui l’offerta tecnica abbia ad oggetto non un progetto o un prodotto, bensì un facere da valutare sulla base di criteri quali-quantitativi tra cui la pregressa esperienza dell’operatore e la solidità ed estensione della sua organizzazione imprenditoriale, il divieto generale di commistione tra le caratteristiche oggettive dell’offerta (criteri di selezione dell’offerta) e i requisiti soggettivi dell’impresa concorrente (criteri di selezione dell’offerente), assume una valenza attenuata, nel senso che dagli aspetti organizzativi d’impresa e dall’esperienza maturata da un concorrente ben possono trarsi indici significativi dell’affidabilità dell’incarico e della qualità delle prestazioni professionali richiesti dalla stazione appaltante (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 02.10. 2009, n. 6002 e Cons. St., sez. IV, 25.11.2008, n. 5808)”, giungendo a ritenere che: “In conclusione, posto che l’offerta tecnica oggetto dell’impugnato capitolato speciale d’appalto consiste essenzialmente in un facere, le doglianze dedotte avverso l’inserimento di parametri imprenditoriali soggettivi all’interno degli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta tecnica, non possono trovare accoglimento”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 379 del 2013

“Vuoti a rendere” per il centro di Rovigo: edifici, caserme e aree da riutilizzare

19 Mar 2013
19 Marzo 2013

Segnaliamo l'interessante incontro organizzato dal comune di Rovigo, insieme a Confesercenti e Confcommercio "Vuoti a rendere” per il centro di Rovigo: edifici, caserme e aree da riutilizzare.

L'incontro si tiene oggi martedì 19 marzo 2013, ore 17 - 18.30 presso Pescheria Nuova, Corso del Popolo 140 - Rovigo.

L'incontro saràdi tipo bidirezionale, favorendo così una stretta interazione tra esperti e partecipanti anche attraverso riflessioni o domande. La partecipazione è gratuita. È gradita la segnalazione della partecipazione via e-mail a: rovigocentro@gmail.com
Per informazioni: tel. 0425 398211 (dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12.30).
In allegato la locandina/invito.

Le determinazioni di assoggettamento delle opere a costo di costruzione non devono essere impugnate nel termine decadenziale di 60 giorni, ma in quello di prescrizione

19 Mar 2013
19 Marzo 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 296 del 2013 ha deciso un ricorso avente per oggetto l'insussistenza dell'obbligo di pagamento della somma di euro 2.013.048,47 pretesa dal Comune di Treviso a titolo di contributo per costo di costruzione ed interessi per ritardato pagamento dello stesso, relativamente a una serie di permessi di costruire.

Il Comune aveva eccepito che il ricorso era stato presentato oltre il termine decadenziale di 60 giorni dal rilascio dei permessi di costruire. L'eccezione è stata respinta dal TAR, il quale ha confermato che a questo tipo di ricorsi (in materia di diritti soggettivi) non si applica il termine decadenziale di 60 giorni.

Scrive il TAR: " va vagliata l’eccezione di irricevibilità dei ricorsi sollevata dalla difesa dell’amministrazione resistente, ed imperniata sul fatto che le determinazioni di assoggettamento delle opere a costo di costruzione sarebbero divenute definitive, in quanto non impugnate nel termine decadenziale di sessanta giorni dal rilascio dei relativi permessi di costruire. L’eccezione è infondata, posto che il ricorso viene proposto a tutela di diritti soggettivi, quali sono indiscutibilmente le posizioni soggettive riscontrabili in capo al privato nei procedimenti edilizi, con riferimento  alle determinazioni amministrative concernenti gli oneri concessori, determinazioni che non hanno natura autoritativa. Infatti, il ricorso verte sull'esistenza o meno di un'obbligazione direttamente stabilita dalla legge, e dunque, avendo ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito, prescinde dall'esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetto alle regole delle impugnazioni e dei termini di decadenza propri degli atti amministrativi. D’altra parte, nella giurisdizione amministrativa esclusiva – ossia, estesa anche alla cognizione dei diritti soggettivi – il termine d’impugnazione degli atti
lesivi di tali posizioni soggettive coincide con quello di prescrizione del diritto stesso, e non si applica il termine decadenziale ordinario di sessanta giorni (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, n. 596/2012; Cons. Stato n. 1565/2011).

Il TAR non precisa se il termine di prescrizione sia di 5 o di 10 anni.

sentenza TAR Veneto 296 del 2013

La discrezionalità tecnica è soggetta ad un sindacato giurisdizionale debole – 2

19 Mar 2013
19 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 14 febbraio 2013 n. 212, riconferma il c.d. sindacato debole che caratterizza la discrezionalità tecnica della Pubblica Amministrazione, - già evidenziato nel post del 7 marzo 2013 – dichiarando che: “6. Sul punto va ricordato come la fondamentale decisione del Consiglio di Stato del 09 Aprile 1999 n. 601 abbia radicalmente modificato l’orientamento giurisprudenziale fino a quel momento vigente, legittimando, nei confronti dell’avvenuto esercizio di un potere di “discrezionalità tecnica”, non più l’esperimento di un sindacato “estrinseco” all’esercizio di detto potere (in quanto circoscritto al solo iter logico seguito dall’Amministrazione, all’illogicità manifesta e all’errore di fatto), ma rendendo esperibile sull’atto impugnato un vero e proprio sindacato “intrinseco” che, in quanto tale, si esprime nella verifica diretta del criterio tecnico utilizzato e del procedimento applicativo seguito.

6.1 Nell’ambito di detto sindacato “intrinseco” la Giurisprudenza prevalente ritiene esperibile che il controllo del Giudice Amministrativo sul potere così esercitato sia caratterizzato da un’intensità “debole” che, in quanto tale, consente a questo Giudice non di sostituirsi alla valutazione tecnica operata dall’Amministrazione (valutazione quest’ultima che integrerebbe un intensità c.d. forte), bensì di incidere sulle sole determinazioni amministrative che, lungi dall’apparire opinabili, appaiono, sulla scorta di un sindacato di ragionevolezza, sicuramente inattendibili.

6.2 Come ha confermato una recente pronuncia (Cons. Stato Sez. VI, 1 giugno 2012, n. 3283), seppur in un diverso ambito, “il sindacato giurisdizionale su atti normativi secondari, per mezzo dei quali l'Amministrazione, nell'esercizio della propria discrezionalità tecnica, abbia fornito utili criteri di interpretazione e di delimitazione del significato di concetti giuridici indeterminati di valenza tecnica utilizzati dalla normativa principale, nel rispetto della disciplina che presiede alla loro possibile impugnazione e disapplicazione, è consentito soltanto nel caso in cui le scelte effettuate si pongano in contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica. Nei termini di cui innanzi non è, pertanto, sufficiente che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo e del procedimento seguito, meramente opinabile, poiché il Giudice Amministrativo non può – in attuazione del principio costituzionale di separazione dei poteri – sostituire proprie valutazioni a quelle effettuate dall'Amministrazione” (si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 8 ottobre 2012, n. 5209).

6.3 Ne consegue che in adesione ai principi sopra ricordati di "sindacato debole" la valutazione attribuita al Giudice Amministrativo risulta circoscritta ad un accertamento relativo ai fatti, alla verifica relativa al processo logico-valutativo svolto dall'Amministrazione in base a regole tecniche o del buon agire amministrativo, alla correttezza delle valutazioni in quanto ragionevoli, proporzionate ed attendibili, dovendosi ritenere non sindacabile l’espressione stessa del potere che, di per sé, porterebbe inevitabilmente a sostituirsi ad un potere già esercitato e, in ciò, violando la riserva di amministrazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

Disposizioni operative generali e specifiche in materia di agriturismo nel Veneto

19 Mar 2013
19 Marzo 2013

Con la deliberazione della Giunta Regionale Veneta che si allega, in attesa di pubblicazione sul BURV, sono approvate le disposizioni operative generali e specifiche concernenti lo svolgimento nel territorio regionale dell’attività di agriturismo alla luce delle nuove disposizioni stabilite con la legge regionale 28/2012, nonché il raccordo operativo e funzionale fra la precedente norma di settore e le nuove disposizioni legislative.

Applicazione legge regionale sull'agriturismo

Il requisito dell’affidabilità per il rilascio o il rinnova della licenza di porto di fucile

19 Mar 2013
19 Marzo 2013

Dalla lettura combinata dell’art. 11 e 43 del R.D. n. 773/1931 emerge che la licenza di porto di fucile per uso di caccia può essere revocata, qualora l’Amministrazione, attraverso una valutazione discrezionale, reputi il cacciatore carente di affidabilità e propenso all’abuso delle armi.

Questo tipo di ragionamenti ha spinto il Questore di Vicenza a respingere la domanda di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso di caccia quando il richiedente è stato ritenuto privo di sufficienti garanzie di sicura affidabilità e dei requisiti di buona condotta. Il cacciatore ha formulato ricorso davanti al T.A.R. Veneto, sez. III, il quale, con la sentenza del 04 marzo 2013, n. 329 ha respinto il ricorso sostenendo che: “il giudizio di non affidabilità, non deve necessariamente basarsi solo sull'accertamento di condanne penali o sulla mancanza dei requisiti psicofisici da un punto di vista sanitario, ma può essere anche di carattere prognostico e indiziario, fondato sulla complessiva condotta di vita tenuta dall’interessato, e non richiede un grado di accertamento equivalente a quello svolto in sede penale. Ne discende che, anche dopo il rilascio delle autorizzazioni, ogni qual volta l'Autorità ritenga che il soggetto titolare di porto d'armi non dia sufficiente garanzia di piena affidabilità circa il corretto uso delle armi, è tenuta ad intervenire revocando i provvedimenti autorizzatori.”. Nel caso di specie, il ricorrente già nel 2002 è stato destinatario di un provvedimento di divieto di detenzione armi e munizioni per omessa custodia, che è stato successivamente revocato, e che è stato successivamente per due volte deferito alla Procura della Repubblica per i reati di minaccia ed ingiuria il 30 aprile 2005, e il 1 febbraio 2006. Negli anni successivi ha pronunciato, in presenza di terzi, ingiurie e minacce di morte verso la propria ex compagna. Cosi il Collegio ritiene che l’Amministrazione abbia tenuto giustamente conto di “episodi che denotano tratti di aggressività e la mancanza di autocontrollo, abbia congruamente ritenuto siano venute meno sufficienti garanzie circa la persistenza dei requisiti necessari per il possesso del porto di fucile”.

Agli stessi ragionamenti si è affidato il Prefetto di Venezia quando ha emesso il provvedimento di divieto di detenere armi e materie esplodenti, sulla cui legittimità si è espresso il T.A.R. Veneto, sez. III, il 4 marzo 2013, n. 339. Il provvedimento impugnato nel ricorso motivava la non affidabilità del cacciatore con episodi di violenza domestica e di propositi di suicidio. Anche in questa sede il ricorso è stato respinto, qualificando tale inibizione come corretta e sufficientemente motivata.

Per ultimo, è necessario ricordare la sentenza del T.A.R. Veneto, sez. III, 4 marzo 2013, n. 341, la quale rigettava l’impugnazione dei provvedimenti emessi dal Questore della Provincia di Rovigo con i quali si decretava la revoca della licenza di porto di fucile per uso tiro a volo e il divieto di detenere armi e munizioni. Tali provvedimenti sono giustificati dalla inaffidabilità del ricorrente in conseguenza alle minacce impartite verso i parenti, seguite da querela, e da alcune circostanze che avrebbero fatto pensare ad una ipotesi di suicidio.

Si conclude quindi, che il requisito dell’affidabilità richiesto agli artt. 11 e 43 del R.D. n. 773/1931 per detenere un'arma ed essere titolare di licenza di porto d’armi deve necessariamente fondarsi su circostanze tali da non mettere in dubbio la stabilità mentale del soggetto, la scarsa diligenza o la scarsa prudenza dello stesso od il venir meno della sicurezza pubblica. Non sono parimenti giustificabili (e sul punto la giurisprudenza è fortunatamente copiosa e definita) i provvedimenti di diniego o ritiro delle licenze in materia di armi basati su giudizi che non attengano al rischio di abuso delle stesse, come, ad esempio,   la guida in stato di ebrezza.

dott.sa Giada Scuccato

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