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Retta per anziani inseriti in strutture residenziali: per il CDS rilevano anche i redditi non rientranti tra quelli utili per il calcolo dell’ISEE

28 Mar 2013
28 Marzo 2013

Il Consiglio di Stato, con la sentenza della terza sezione n. 1631 del 21 marzo 2013, è ritornato sulla questione dei regolamenti comunali sulla integrazione della retta di anziani inseriti in strutture residenziali.

Il Supremo organo di giustizia amministrativa ha riformato la sentenza del giudice di primo grado, che aveva ritenuto illegittimo il regolamento comunale di Terni, nella parte in cui ricomprendeva nel reddito dell’anziano anche le entrate non assoggettabili alla denuncia dei redditi, quali la rendita INAIL, la pensione di guerra e l’indennità di accompagnamento, per presunto contrasto con l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 109/1998, che così recita: “Gli enti erogatori, ai quali compete la fissazione dei requisiti per fruire di ciascuna prestazione, possono prevedere, ai sensi dell'articolo 59, comma 52, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, accanto all'indicatore della situazione economica equivalente, come calcolato ai sensi dell'articolo 2 del presente decreto, criteri ulteriori di selezione dei beneficiari.

Il primo giudice interpretava questa norma nel senso che questi criteri ulteriori fissati dagli enti erogatori non dovessero riguardare la valutazione del reddito, perché il reddito è già ricompreso come principale criterio dell’indicatore della situazione economica  equivalente, che in sostanza sarebbe intoccabile.

 Il Consiglio di Stato, invece, afferma, citando la sua precedente sentenza n. 5154/2012, che:  “gli Enti erogatori possono legittimamente integrare la disciplina in tema di ISEE di cui al D.Lgs. n. 109/1998, prevedendo nei loro regolamenti di tener conto anche di redditi non imponibili e non considerati nella ISEE - quali la pensione di invalidità e la indennità di accompagnamento - ai fini della valutazione della situazione economica degli assistiti per la compartecipazione alle spese per il ricovero in strutture assistenziali, anche se tali redditi non rientrano tra quelli utili per il calcolo dell’ISEE.

Si tratta di una statuizione di fondamentale importanza, dal momento che riconosce alla regolamentazione locale sulla compartecipazione alla retta di valutare in maniera più aderente alla realtà la situazione reddituale individuale.

avv. Marta Bassanese

sentenza CDS 1631 del 2013

La Avcp organizza una consultazione on line sui bandi-tipo per l’affidamento dei contratti pubblici di servizi e forniture

28 Mar 2013
28 Marzo 2013

Scopo della consultazione è raccogliere osservazioni e proposte sull’individuazione degli specifici settori sui quali si ritiene prioritaria un’attività regolatoria e sulla metodologia per l’adozione dei bandi - tipo previsti dall'articolo 64, comma 4–bis, del Codice, il quale prevede che “i bandi sono predisposti dalle stazioni appaltanti sulla base di modelli (bandi - tipo) approvati dall’Autorità”.

I soggetti interessati possono far pervenire all’Autorità le proprie osservazioni entro il 9 aprile 2013, ore 18.00, mediante la compilazione dell’apposito modello formato .pdf che, unitamente agli estremi identificativi del mittente, consente l’inserimento di un testo libero fino a 10.000 battute.

www.autoritalavoripubblici.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/ConsultazioniOnLine/_consultazioni?id=8247ab0a0a7780a5016b159d1591a1ea

Se l’area è in parte demaniale, il consenso dell’ente gestore (Consorzio di Bonifica) non basta affinchè il Comune adotti un piano attuativo

27 Mar 2013
27 Marzo 2013

Lo chiarisce la sentenza del TAR Veneto n. 410 del 2013.

Scrive il TAR: "il motivo fondamentale in base al quale è stata negata l’adozione del Piano da parte della Giunta Comunale, è costituito dall’assenza di titolarità in capo alla società ricorrente dell’intera area oggetto del Piano. E’ pacifico, infatti, che all’interno dell’area della lottizzazione vi siano 383 mq. (secondo la ricorrente) o 450 mq. (secondo il Comune) di proprietà demaniale, costituita da uno scolo delle acque lungo la via Chiaviche. Tale mancanza di titolarità non è superabile con lo strumento di cui all’art. 20, 6° comma, LR 11/2004, che prevede l’espropriazione degli eventuali proprietari dissenzienti, non essendo i beni demaniali espropriabili. La società Elena non ha però invocato lo strumento dell’espropriazione, ma si è invece procurata il consenso dell’ente gestore di tale area, ovvero il Consorzio di Bonifica Padana Polesana, per “tombinare” tale area e destinarla a parcheggio. Il Comune ha ritenuto tale soluzione non sufficiente ad integrare il requisito della titolarità dell’area, necessario al fine di attuare una
trasformazione urbanistica. Tale posizione del Comune è pienamente condivisibile, in quanto il requisito della proprietà dell’area da parte del lottizzante non è surrogabile con un nulla osta o un permesso attributivo di una disponibilità pur sempre precaria della stessa. Ebbene, nel caso di
specie, tale area, oggi occupata da un canale di scolo, dovrebbe essere, previa copertura con apposite griglie, destinata a parcheggio, ed è evidente che nell’ipotesi in cui, per un qualsiasi motivo, l’ente proprietario o l’ente gestore ne rivendicasse la disponibilità e tale concessione in uso dovesse venire meno, si verificherebbe un’incongruità a livello urbanistico alla quale il Comune dovrebbe porre rimedio con oneri a proprio carico. Conseguentemente, appare legittima la decisione del Comune di ritenere non sufficiente, ai fini di tale trasformazione urbanistica, una semplice concessione in uso dell’area demaniale interessata dall’intervento".

sentenza TAR Veneto 410 del 2013

Niente risarcimento danni al confinante se la DIA è illegittima solo perchè firmata da un geometra

27 Mar 2013
27 Marzo 2013

La vicenda decisa dalla sentenza che si annota (Consiglio di Stato, sez. IV, 14.03.2013, n. 1526) prende le mosse da un esposto depositato in Comune da una signora che, vedendo sorgere vicino alla sua proprietà cinque villette a schiera da un alto e la ristrutturazione di un edificio dall’altro, sollecita l’Ente a intervenire per far togliere le opere costruite con due d.i.a. presentate nel 2005.

L’Amministrazione comunale tace e le opere vengono realizzate. L’esponente adisce al T.a.r. con un unico ricorso per fare annullare i provvedimenti taciti formatisi sulle presentate d.i.a., fare declarare l’illegittimità del silenzio inadempimento e per chiedere il risarcimento dei danni.

Il T.a.r. per la Lombardia non entra nel merito della questione perché con una pronuncia di rito dichiara inammissibile il ricorso.

La cittadina impugna la sentenza al Consiglio di Stato che, invece, ritiene il ricorso ammissibile ed entra così nel concreto della questione.

Tra i vari aspetti trattati dalla decisione è interessante quello relativo alla eccepita illegittimità della d.i.a. relativa alla costruzione delle cinque villette a schiera perché il progetto delle stesse era stato redatto da un geometra.

Il Collegio riconosce che il geometra può progettare opere edilizie con impiego di cemento armato ma con dei limiti. Infatti, non può firmare progetti contenenti opere che, in relazione alla loro destinazione, possono comportare pericolo per l’incolumità delle persone. Ciò, ad esempio, si può riscontrare per le costruzioni destinate a civile abitazione e progettate su più piani che sono da ritenersi riservate agli ingegneri e agli architetti.

Con tale motivo i giudici hanno ritenuto illegittima la d.i.a presentata dal geometra per la costruzione delle cinque villette essendo, questo, un intervento edilizio non di modesta dimensione e quindi precluso al suddetto professionista.

Nonostante la dichiarata illegittimità, il Consiglio di Stato non accoglie la domanda di risarcimento in forma specifica (ex art. 2058, comma 1, c.c.) – ossia la demolizione dell’immobile perché in contrasto con la normativa – ritenendo tale “sanzione” eccessivamente sproporzionata per una d.i.a. che ha come unico vizio il fatto di contenere un progetto predisposto da parte di un geometra anziché da un ingegnere.

Altresì ritiene infondata la domanda di risarcimento per equivalente (ex art. 2058, comma 2, c.c.) perché nel caso specifico il fatto che il progetto fosse stato redatto dal tecnico sbagliato non è emerso alcun danno…ossia le villette non sono cadute!

Quindi, il fatto che il progetto non sia stato redatto da un tecnico abilitato non comporta, ipso facto, un danno al confinante se non contiene vizi progettuali - poi tradottisi in carenze strutturali della costruzione realizzata - pregiudizievoli per la pubblica incolumità.

di Rocco Giacobbe Vaccari – Avvocato del Foro di Padova

cds 1526.2013

La discrezionalità tecnica della Giunta Comunale in sede di adozione di un piano di lottizzazione

26 Mar 2013
26 Marzo 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 410 del 2013.

Scrive il TAR: "si deve ritenere che alla Giunta Comunale, in sede di adozione di un piano di lottizzazione, spetti un certo margine di discrezionalità tecnica nella valutazione del progetto presentato ed in particolare, nell’accertamento della previsione in maniera adeguata delle opere di urbanizzazione primaria. Infatti, l’accertamento che le strade residenziali siano adeguate e gli spazi di verde o di parcheggio siano sufficienti, costituisce una valutazione che non può ragionevolmente essere rimessa a chi è interessato alla costruzione.

Inoltre, trattandosi di adottare un piano urbanistico attuativo, si deve riconoscere all’amministrazione la possibilità di dettare, nell’osservanza dello strumento generale vigente, modifiche o prescrizioni che, non aggravando eccessivamente il carico dei privati, rendano meglio inserito il piano di lottizzazione nel contesto urbanistico dell’insediamento e meglio aderente allo strumento generale del quale è attuazione.

Ebbene, nel caso in esame, l’amministrazione ha accertato che la strada di via Chiaviche, che per un tratto costeggia il nuovo comparto (oggi larga m. 4,32 e priva di marciapiedi), a fronte dell’aggravamento del carico urbanistico conseguente ai nuovi insediamenti, risulta inadeguata nelle dimensioni. Infatti, trattandosi di una strada di lottizzazione di connessione urbana, ai sensi dell’art. 38 delle NTA, deve avere una larghezza di 10,50 m. ed essere dotata di marciapiedi su ambo i lati di m. 1,80. Pertanto, tale strada, anche se esterna al comparto, in quanto comunque interessata dalla trasformazione urbanistica, deve essere oggetto di un intervento di allargamento e di risistemazione. Tale prescrizione (anche se l’intervento di allargamento di Via Chiaviche non è specificamente previsto dal PRG) appare obiettivamente giustificata, compatibile con lo strumento urbanistico generale e, proporzionalmente, non troppo gravosa per il privato.

2.2. L’amministrazione ha poi rilevato l’inadeguatezza della conformazione delle aree a standars (verde e parcheggi) in quanto disposte in linea su due strisce parallele alla via Chiaviche.

Tale assetto è apparso all’amministrazione anomalo, ed anche tale valutazione non appare irragionevole, non potendo essere adeguato al suo scopo un spazio verde sviluppato tutto in lunghezza. Inoltre, per quanto sopra detto, tale spazio, come quello destinato a parcheggi, dovrebbe essere occupato, in tutto o in parte, dall’allargamento della via pubblica imposto dall’amministrazione.

2.3. Inoltre, l’amministrazione ha rilevato che buona parte dei marciapiedi (223,20 di 378,30 mq.) costituisce l’accesso carrabile ai lotti ed ha dunque legittimamente escluso tale superficie da quella destinata ad opere di urbanizzazione.

2.4. Infine, vi è un dato obiettivo: la carenza della documentazione rilevata dall’amministrazione e mai sanata da parte della richiedente. Infatti, il computo metrico estimativo, i pareri degli enti e lo schema di convenzione sono stati prodotti solo in relazione al precedente Piano di Lottizzazione presentato nel 2008, e la richiedente non può pretendere che tali produzioni valgano automaticamente anche per il secondo Piano che, presentando delle sia pur minime variazioni rispetto al primo, è diverso da questo e si inserisce in un precedente ed autonomo procedimento".

sentenza TAR Veneto 410 del 2013

Il CDS definisce la “sagoma” di un edificio

26 Mar 2013
26 Marzo 2013

Citiamo un passaggio della sentenza del Consiglio di Stato n. 1564 del 2013: "La definizione della “sagoma” di un edificio accolta dal primo giudice, quale “conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti”, è quella consolidata in giurisprudenza, anche penale (cfr. Cass., III: 9 ottobre 2008, n. 38408; 6 febbraio 2001, n. 9427), e da ultimo ripresa dalla Corte costituzionale (sentenza 23 novembre 2011, n. 309)".

sentenza CDS 1564 del 2013

Il ricorso per motivi aggiunti ammette le censure per relationem

26 Mar 2013
26 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 14 marzo 2013 n. 377, si occupa della c.d. autosufficienza del processo amministrativo: la parte resistente deduce la “violazione “del principio dell’autosufficienza del processo amministrativo (ricavabile dall’art. 6, n. 3 del r.d. n. 642 del 1907 e, ora, dall’art. 40, comma 1 lettera c) del decreto legislativo n. 104 del 2010)”, essendosi limitato l’atto d’impugnazione per motivi aggiunti a richiamare e confermare, in via derivata e per relationem, le censure formulate con il ricorso principale”.

Tale censura permette al T.A.R. Veneto di soffermarsi sulla natura del ricorso per motivi aggiunti chiarendo che: “ai fini dell’ammissibilità dell’atto di proposizione di nuovi motivi di gravame, è necessario verificare se vi sia connessione tra l’atto successivamente impugnato e l’oggetto del ricorso originario (cfr., TAR Campania, Napoli, sez. VI, 2.01.2013, n. 16).

Nel caso di specie non vi è dubbio che il provvedimento gravato con i motivi aggiunti sia connesso con gli atti impugnati con il ricorso introduttivo, trattandosi di una deliberazione con cui l’intimata Amministrazione ha parzialmente modificato, sempre in senso non satisfattivo per il ricorrente, la precedente graduatoria di merito.

Né sussiste la lamentata censura di genericità, atteso che nella fattispecie in esame i motivi aggiunti contengono censure d’illegittimità derivata, suscettibili, come tali, di essere articolate per relationem al ricorso originario (Cons. St., sez. VI, 19.01.2010, n. 178)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 377 del 2013

Il diritto d’accesso ai documenti amministrativi dal punto di vista processuale e sostanziale

25 Mar 2013
25 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 18 marzo 2013, n. 390 si occupa del rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dall’art. 116 c.p.a. secondo cui: “1. Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l'articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni.

2. In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.

3. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato.

4. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai giudizi di impugnazione”.

 Chiarito che: “il giudizio in materia di accesso è strutturato come un giudizio di accertamento, nel quale il giudice è chiamato in via diretta a verificare la fondatezza della pretesa prescindendo dal contenuto del diniego, il che impone al giudicante di verificare direttamente se sussistano o meno i presupposti di legge per ordinare l’esibizione degli atti richiesti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 14 settembre 2010 n. 6696)”, il Collegio precisa che: “il legislatore ha innestato tale giudizio nell’ambito di un rito di tipo prettamente impugnatorio, come si evince dalla previsione di un termine di decadenza di trenta giorni dalla conoscenza della determinazione da impugnare (cfr. art. 116, comma 1. cod. proc. amm., e l’art. 25, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241) e ciò giustifica che, a fronte di un diniego espresso, il ricorrente abbia interesse ad ottenere, mediante l’annullamento del diniego, l’accertamento dell’infondatezza delle motivazioni addotte espressamente dall’Amministrazione, funzionalmente finalizzato all’accertamento della fondatezza della pretesa”.

 Nella medesima sentenza, premesso che “la qualifica di controinteressato non spetta a chiunque sia, a qualsiasi titolo, nominato o comunque coinvolto nei documenti oggetto dell'istanza, ma solo a coloro che, per effetto del suo accoglimento, vedrebbero pregiudicato il proprio diritto alla riservatezza”, il Collegio ritiene che “deve considerarsi frutto di una lettura distorta delle norme sull’accesso un diniego formulato con riferimento alla circostanza che il controinteressato ha manifestato la propria opposizione, come se la definizione della possibilità di accedere agli atti fosse rimessa alla sua disponibilità, quando ormai è un principio pacifico che il diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui all'art. 22, legge 7 agosto 1990, n. 241, trova applicazione in ogni tipologia di attività della pubblica amministrazione e, essendo posto a garanzia della trasparenza ed imparzialità, può essere escluso soltanto nei casi previsti dalla legge.

L’amministrazione pertanto non può sottrarsi dall’accertare essa stessa, direttamente, se vi sia o meno in capo a tale soggetto la titolarità di un diritto alla riservatezza sui dati racchiusi nello stesso documento, dato che in materia di accesso la veste di controinteressato è una proiezione del valore della riservatezza, e non già della mera oggettiva riferibilità di un dato alla sfera di un certo soggetto (cfr. Tar Trentino Alto Adige, Bolzano, sez. I, 8 febbraio 2012, n. 47; Consiglio di Stato, Sez. V, 27 maggio 2011, n. 3190)”.

 Infine, fermo restando che le disposizioni in materia di accesso ai documenti amministrativi non si applicano agli atti riguardanti i procedimenti tributari, ex artt. 13, c. 2 e 24, c. 1, lett. b), l. 241/1990, il T.A.R. Veneto precisa che tale esclusione concerne solamente gli atti tributari preparatori e/o endoprocedimentali, in quanto: “La previsione normativa di esclusione dall'accesso riguarda infatti gli atti preparatori del provvedimento finale, inerenti al potere di verifica fiscale che è strumentale all'accertamento tributario, con la conseguenza che il diritto di accesso deve essere riconosciuto qualora l'Amministrazione abbia concluso il procedimento con l'emanazione del provvedimento finale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR n. 390 del 2013

Norme di semplificazione in materia di igiene, medicina del lavoro, sanità pubblica e altre disposizioni per il settore sanitario

25 Mar 2013
25 Marzo 2013

Sul Bur n. 27 del 22/03/2013 è stata pubblicata la legge regionale del Veneto n. 2 del 19 marzo 2013, recante "Norme di semplificazione in materia di igiene, medicina del lavoro, sanità pubblica e altre disposizioni per il settore sanitario".

Legge regionae Veneto 2 del 2013

Il vincolo cimiteriale comporta inedificabilità assoluta?

22 Mar 2013
22 Marzo 2013

Nella sentenza del T.A.R. Veneto n. 1352/2012, pubblicata il 12 novembre 2012, si evidenziava che il vincolo cimiteriale determina l’inedificabilità assoluta.

 Seppure la giurisprudenza maggioritaria confermi ciò, parte minoritaria ritine che la sussistenza di un vincolo cimiteriale non ostata ex se all’accoglimento della domanda di sanatoria: “Ritiene il Collegio tuttavia di aderire all’opposto orientamento giurisprudenziale, di recente confermato, secondo cui “In sede di condono di opere insistenti su fascia di rispetto cimiteriale l’Amministrazione è tenuta a valutare se ed in quale misura l’opera in questione venga effettivamente a concretizzare una lesione per il vincolo cimiteriale di inedificabilità e, più in particolare, se le opere da sanare possano aggravare il peso insediativo dell’area con la realizzazione di volumi edilizi tali da considerarsi nuove costruzioni” (cfr. T.A.R. Genova Liguria sez. I, 20 giugno 2008, n. 1388). Tale lettura interpretativa si fonda, esattamente, sulle finalità perseguite dalla normativa di tutela del vincolo cimiteriale, che sono sostanzialmente tre: garantire la futura espansione del cimitero; garantire il decoro di un luogo di culto; assicurare una cintura sanitaria attorno a luoghi per loro natura insalubri (cfr. T.A.R. Liguria, 1^, 25 marzo 2004 n. 290; id., 9 luglio 1998 n. 373; id., 6 novembre 1995 n. 320; da ultimo Cons. Stato, V, 3 maggio 2007 n. 1933). Risultano quindi fondate le deduzioni di parte, con le quali si lamenta che l’Amministrazione si è limitata a rilevare la presenza del vincolo cimiteriale senza indulgere ad alcuna ulteriore considerazione attinente ai suddetti profili, tenuto anche conto di quanto denunciato dal ricorrente, senza contestazioni di controparte, a proposito della presenza sull’area interessata dalla fascia di rispetto cimiteriale di numerosi altri manufatti” (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 06.03.2013, n. 128).

Anche il T.A.R. Veneto, nella sentenza n. 417/2013 commentata nel post del 21 marzo 2013, considera “relativa” e non “assoluta” tale inedificabilità: “6. Quanto alla asserita violazione della fascia di rispetto cimiteriale di 200 metri, il Collegio evidenzia che, come condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza maggioritaria, la fascia di rispetto in questione risponde, da un lato, all'esigenza di tutela dell'interesse pubblico all'igiene di ogni tipo di costruzione destinata alla vita dell'uomo e, dall'altro, all'esigenza di assicurare decoro ai luoghi di sepoltura.

6.1. Il suddetto vincolo riguarda, pertanto, quelle costruzioni incompatibili con la funzione cimiteriale, in quanto destinate ad ospitare stabilmente l’uomo, quali: le abitazioni, gli alberghi, gli ospedali, le scuole. Tale vincolo non è quindi suscettibile di un’applicazione estensiva nei confronti della realizzazione di altri manufatti privi invece di tale funzione come nel caso, che qui interessa, delle strade e dei parcheggi.

6.2. Questa interpretazione è del resto avvalorata anche dal dato letterale della disposizione che vieta specificamente la realizzazione di nuovi “edifici” e non già la realizzazione di una qualsiasi opera (cfr. in termini TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 26.09.2011 n. 2295)”.

TAR Friuli-Venezia Giulia n. 128 del 2013

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