Le tipologie di avvalimento (nel secondo codice appalti)
Il TAR Sardegna ha affermato utili princìpi sulla distinzione tra avvalimento operativo e avvalimento di garanzia, ai sensi del d.lgs. 50/2016.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Sardegna ha affermato utili princìpi sulla distinzione tra avvalimento operativo e avvalimento di garanzia, ai sensi del d.lgs. 50/2016.
Post di Alberto Antico – avvocato
L’art. 39, co. 2 TULPS prevede che, nei casi d’urgenza, gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare di armi, munizioni e materie esplodenti, dandone immediata comunicazione al prefetto.
Il TAR Sardegna ha rigettato la censura del ricorrente, afferente alla denunciata omissione della comunicazione d’avvio del procedimento, alla luce della natura cautelare di tale provvedimento.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Sardegna, pur consapevole delle rilevanti ricadute che l’impugnato ritiro cautelare delle armi ex art. 39, co. 2 TULPS avrà sull’attività lavorativa del ricorrente, ha affermato che nel caso in esame, la valutazione negativa di affidabilità del soggetto circa l’uso corretto delle armi è stata legittimamente ancorata a fatti oggettivi che giustificano la prognosi formulata, stante la risalente, perdurante e accesa situazione di conflittualità sviluppatasi in un ambito, quello familiare, trattandosi di ipotesi in cui la tensione nelle relazioni interpersonali, unita alla contiguità dei rapporti, tende ad acuirsi e ad esasperarsi con il decorso del tempo, rendendo inopportuno, a tutela della pubblica e della privata incolumità , che i protagonisti di tali conflitti abbiano la disponibilità di armi da sparo, ancorché l’uso improprio di esse non si sia già verificato.
Post di Alberto Antico – avvocato
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, co. 1 c.c., secondo il quale in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal Titolo XI del Libro V c.c. (concernente i reati societari) è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato, nella sola parte in cui prevede anche la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato stesso.
Ha altresì dichiarato l’incostituzionalità del successivo secondo comma, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato.
L’obbligo di disporre la confisca di tutti beni utilizzati per commettere un reato societario, anche nella forma della confisca di beni di valore equivalente, può condurre a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati, ed è pertanto incompatibile con la Costituzione.
La questione è stata sollevata dalla Corte di cassazione nell’ambito del processo relativo alla crisi della Banca popolare di Vicenza (in primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto, a carico di quattro imputati, la confisca dell’importo di 963 milioni di euro; in secondo grado, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato in parte la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla cd. Carta di Nizza).
Spetterà al legislatore valutare se introdurre una nuova disciplina della confisca dei beni strumentali e delle somme di valore equivalente, nei limiti consentiti dal principio di proporzionalità , così come previsto in altri sistemi giuridici e nella stessa legislazione dell’Unione europea.
Resta invece in vigore l’obbligo di confiscare integralmente i profitti ricavati dal reato, in forma diretta e per equivalente, a carico di qualunque persona – fisica o giuridica – che risulti effettivamente avere conseguito le utilità derivanti dal reato. Resta ferma, inoltre, la facoltà per il giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere il reato prevista in via generale dell’art. 240 c.p., nel rispetto del principio di proporzionalità .
Post di Alberto Antico – avvocato
Pende all’esame del Senato un disegno di legge che dovrebbe fornire un’interpretazione autentica della l. 1150/1942: secondo le cronache, ciò dovrebbe favorire una soluzione alle indagini penali per i presunti abusi edilizi commessi a Milano.
Al seguente link è possibile ascoltare l’intervento e leggere la relazione dell’avv. prof. Paolo Urbani in Commissione VII al Senato: https://www.pausania.it/audizione-del-4-2-2025-presso-la-commissione-viii-del-senato-del-prof-urbani-sul-ddl-1309-interpretazione-autentica-in-materia-urbanistica-ed-edilizia/.
Il prof. Urbani ha riflettuto sulle conseguenze che possono avere interventi edilizi impattanti in assenza di pianificazione attuativa.
Altri giuristi sollevano il dubbio se una legge asseritamente di interpretazione autentica possa o no essere applicata retroattivamente (nel caso di specie, alle edificazioni giĂ eseguite, peraltro in pendenza di indagini penali giĂ annunciate) e, ove non possibile, quali effetti avrĂ la legge, se approvata.
Nelle sentenze del giudice amministrativo si trova spesso l'affermazione che gli abusi edilizi di un edificio vanno valutati tutti insieme in modo unitario e non vanno trattati separatamente, in modo parcellizzato.
Se si prova a capire se sussista un generale dovere normativo di fare così, non lo si trova.
Alla fine si scopre che si tratta di uno di quei orientamenti giurisprudenziali consolidati che vengono applicati in modo un po' meccanico, senza considerare se nel singolo caso specifico esso apporti una qualche utilitĂ all'ordinato assetto del territorio oppure se crei solo problemi insolubili o eccessivamente gravosi per il proprietario dell'immobile, che molto spesso non è il responsabile dell'abuso o delle difformitĂ e che si trova a dover gestire una situazione ereditata dagli avi oppure frutto di un infelice acquisto da terzi.Â
Per esempio, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5749 del 2023 si legge: "Laddove vengano contestati una serie di abusi effettuati sul medesimo immobile non può effettuarsi una loro valutazione parcellizzata per individuare quelli assentibili con una semplice d.i.a. e quelli che necessitano di un permesso di costruire. Costituisce, al contrario, un orientamento consolidato che la valutazione di una pluralità di abusi deve essere complessiva: “la valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni” (Cons. Stato, Sez. VI, 19 aprile 2023, n. 3964; nello stesso senso sez. VI, 18 ottobre 2022, n.8848).
Il principio, già prima del Salva Casa, appariva ragionevole in alcuni casi: per esempio, se nella fase di costruzione di un edificio si realizza un aumento di volume di 100 mq, mentre l'indice del lotto avrebbe consentito un aumento massimo di 50 metri cubi, l'interessato non poteva (e non può) pretendere di sanare 50 cubi con l'articolo 36 (doppia conformità ) e fiscalizzare gli altri 50. E mi sembra giusto così.
Però in altri casi concreti, già prima del decreto Salva Casa, applicando questo principio spesso si rinvenivano situazioni inutilmente complicate e che non sembravano affatto rispondenti a criteri di giustizia sostanziale: per esempio, in fase di costruzione di una casa negli anni '70 era stato effettuato un piccolo aumento di volume (trasformabile in 20 mq con la regola del diviso 5 per 3 del primo condono edilizio della legge 47/1985), che eccedeva la tolleranza del 2%, ma che sarebbe stato sanabile per doppia conformità ex art. 36 D.P.R. 380 del 2001. Nel corso della successiva costruzione di un accessorio affiancato alla casa, negli anni '80, era stata realizzato anche lì un piccolo aumento di volume che eccedeva le tolleranze: sommando i due aumenti di volume, si eccedeva l'indice attuale del lotto e, quindi, non si poteva sanare insieme le due difformità con l'articolo 36. Il buon senso pratico avrebbe suggerito di sanare la prima difformità con l'articolo 36 e di fiscalizzare la seconda. L'applicazione del principio della valutazione unitaria degli abusi ha costretto l'incolpevole proprietario a fiscalizzare entrambi gli abusi, spendendo una somma spropositata in relazione alla modestia delle difformità .
La situazione è diventata ancora più complicata dopo il Salva Casa, che con i vari articoli da 34 a 36 ha introdotto svariati casi particolari di sanatorie legate anche anche alla realizzazione degli abusi o delle difformità entro una certa data. Supponiamo, per esempio, che un edificio costruito prima del 1977 sarebbe sanabile con l'articolo 34 ter, ma che negli anni '80 sia stato effettuato un ampliamento affiancato, sanabile con l'articolo 36 bis. Il principio di valutazione unitaria consentirebbe di sanare gli abusi solo insieme e solo se sia applicabile a entrambi l'articolo 36 bis. Ma, se non ci sono per entrambi i presupposti dell'articolo 36 bis, non si riesce a sanare nulla. Ma le due difformità sono ben distinte e individuabili e non si capisce quali utilità riceva l'ordinato assetto del territorio dal fatto che le due difformità debbano per forza essere sanate insieme o non essere sanabili entrambe.
Quindi, a mio parere, bisognerebbe distinguere caso per caso quando abbia un senso valutare gli abusi in modo unitario e non parcellizzato e quando questo senso non ci sia.
Post di Dario Meneguzzo - Avvocato
Il TAR Veneto ha affermato che non si ravvisa un’assoluta intangibilità del PUA adottato in sede di approvazione, laddove le variazioni apportate non abbiano modificato l’impianto di fondo del piano adottato, ma riguardino aspetti di dettaglio, necessari comunque ad assicurare un ordinato e razionale assetto dell’area.
Il TAR ha ritenuto di poter applicare in via analogia i principi che governano l’obbligo (o no) di ripubblicazione del PRG adottato, in caso di modifiche in sede di approvazione.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha offerto utili principi sull’iter dei PUA redatti e presentati solo da una parte “qualificata” degli aventi titolo e precisamente da un insieme di proprietari che rappresentino almeno il 51% del valore degli immobili ricompresi nell’ambito, in base al relativo imponibile catastale e, comunque, che rappresentino almeno il 75% delle aree inserite nell’ambito medesimo (all’art. 20, co. 6 l.r. Veneto 11/2004).
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha annullato un Piano di lottizzazione (PdL) che era stato approvato nonostante la compagine dei proponenti non rappresentasse il 75% delle aree inserite nell’ambito soggetto a PUA (come richiesto dall’art. 20, co. 6 l.r. Veneto 11/2004), in quanto, nel tempo intercorso tra la sua adozione e la sua approvazione, un proprietario aveva revocato la procura in precedenza conferita ai progettisti per la presentazione degli atti relativi al PUA.
L’accordo tra i proprietari costituisce un elemento essenziale del PUA, ai sensi dell’art. 1372 c.c., e lo stesso dicasi per le modificazioni del Piano, per cui non rileva che una delle parti abbia o no concreto interesse alla modificazione, né si può prescindere dal suo consenso sindacando l’interesse che essa possa avere alla modificazione.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha affermato che, qualora i provvedimenti di adozione e approvazione di un PUA (nel caso di specie, un PdL) nonché di adozione e approvazione della relativa variante al PRG incidano in via diretta sulle aree di proprietà di privati contrari al progetto, questi ultimi hanno interesse a partecipare alla formazione del piano di iniziativa privata, ossia all’individuazione e scelta delle soluzioni da introdurre, o, comunque, a subirne le previsioni solo ove legittimamente adottati con la partecipazione della maggioranza prescritta ed a contestare in sede giurisdizionale le determinazioni ritenute illegittime.
Post di Alberto Antico – avvocato
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