Da quando si può impugnare il progetto di un’opera pubblica?

07 Ago 2014
7 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 01 agosto 2014 n. 1114 conferma che l’interesse ad impugnare il progetto di un’opera pubblica deriva solamente dalla piena conoscenza del progetto definitivo e non dalla contezza di quello preliminare perché: “È, infatti, solo dal momento dell’approvazione del progetto definitivo che si concretizza l’interesse all’impugnazione del progetto, in quanto solo con il progetto definitivo l’opera pubblica assume una stabile connotazione che consente di valutare appieno i profili di interferenza, e quindi di lesività, con le posizioni giuridiche dei confinanti o vicini, mentre al livello di progettazione preliminare la stessa è ancora ad uno stadio iniziale, abbozzato, e, come tale, insuscettibile di radicare un interesse concreto ed attuale all’impugnazione.

Tale corollario trae giustificazione e fondamento in primo luogo dalla definizione legislativa contenuta nell’art. 93, III e IV comma del DLgs n. 163/2006 secondo la quale: “il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alla valutazione delle eventuali soluzioni possibili, anche con riferimento ai profili ambientali e all'utilizzo dei materiali provenienti dalle attività di riuso e riciclaggio, della sua fattibilità amministrativa e tecnica, accertata attraverso le indispensabili indagini di prima approssimazione, dei costi, da determinare in relazione ai benefìci previsti, nonché in schemi grafici per l'individuazione delle caratteristiche dimensionali, volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare; il progetto preliminare dovrà inoltre consentire l'avvio della procedura espropriativa”, mentre “il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Esso consiste in una relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, nonché delle caratteristiche dei materiali prescelti e dell'inserimento delle opere sul territorio; nello studio di impatto ambientale ove previsto; in disegni generali nelle opportune scale descrittivi delle principali caratteristiche delle opere, e delle soluzioni architettoniche, delle superfici e dei volumi da realizzare, compresi quelli per l'individuazione del tipo di fondazione; negli studi e indagini preliminari occorrenti con riguardo alla natura e alle caratteristiche dell'opera; nei calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; in un disciplinare descrittivo degli elementi prestazionali, tecnici ed economici previsti in progetto nonché in un computo metrico estimativo. Gli studi e le indagini occorrenti, quali quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico, i rilievi e i sondaggi, sono condotti fino ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo”.

Dal confronto dell’oggetto dei due livelli di progettazione emerge come solo con il progetto definitivo vengono individuati compiutamente i lavori da realizzare, dovendo quest’ultimo contenere tutti gli elementi necessari per il rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni (cfr. CdS, IV, 19.6.2014 n. 3116).

Del resto, diversamente opinando, si finirebbe per anticipare la tutela giurisdizionale dei terzi oltre ogni limite, dando ingresso a vere e proprie azioni popolari rivolte avverso progetti che, non essendo ancora definiti nelle loro caratteristiche, non possono produrre – allo stato - una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica altrui”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1114 del 2014

Il sindaco può regolamentare le emissioni sonore degli esercizi commerciali purché alla base vi sia una seria istruttoria

07 Ago 2014
7 Agosto 2014

Il T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 583 dichiara legittima l’ordinanza sindacale che regolamenta non tanto l’apertura degli esercizi commerciali quanto la durata delle loro emissioni sonore: “Ritenuto che la domanda di revoca dell’ordinanza n. 580 del 28/7/2014 è meritevole di positiva valutazione considerato che: 1) alla luce delle argomentazioni svolte dal Comune resistente nella domanda di revoca emerge la sussistenza di un danno rilevante alla sicurezza pubblica nell’area interessata alla ordinanza;2) nella valutazione comparativa degli interessi contrapposti la tutela dell’interesse dei ricorrenti di protrarre di alcune ore l’emissioni rumorose nell’area interessata si appalesa cedevole nei confronti dell’interesse dei residenti nella zona interessata all’ordinanza di cui il Comune deve farsi carico;3) allo stato l’ordinanza impugnata, avente carattere cronologicamente limitato rappresenta l’unico strumento adottabile dall’Amministrazione resistente per garantire gli interessi con essa tutelati;4) che il danno temuto dai ricorrenti si appalesa ipotetico e non dimostrato, anche avuto riguardo al fatto che l’ordinanza non incide sull’orario di apertura degli esercizi, ma soltanto sugli orari di utilizzo degli impianti di diffusione sonora”.

Il T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, nella sentenza del 25 luglio 2014 n. 453 insiste però sulla necessità di una seria ed approfondita istruttoria che preceda l’ordinanza sindacale: “È invece fondata la censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria, svolta col secondo e terzo motivo di ricorso.

Infatti, in relazione al potere nella specie esercitato dal Sindaco, è pur vero che molteplici e ripetute lamentele formulate dagli abitanti della zona, dove viene esercitata l'attività dei pubblici esercizi, costituiscono un significativo indizio dei disagi dagli stessi arrecati nelle ore notturne al riposo ed alla quiete dei vicini, tuttavia la fondatezza di tali doglianze dev'essere necessariamente riscontrata da un'appropriata istruttoria (cfr. Cons. St., V, 5 settembre 2002, n. 4457).

Nella specie, invece, non risulta che sia stata effettuata alcuna misurazione delle immissioni rumorose.

Infatti, il provvedimento impugnato non è basato su precise risultanze fonometriche.

Lo stesse parti resistenti, sia pure implicitamente, riconoscono che è mancato l'intervento dell'ARPA per il rilievo dei dati fonometrici e che addirittura nel provvedimento impugnato non si fa menzione di un qualche accertamento, sia pure empirico, svolto dalla vigilanza urbana.

Non risulta, quindi, che sia stato adeguatamente accertato il disagio ambientale che era stato denunciato dagli abitanti della zona”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Catania n. 583 del 2014

TAR Molise n. 543 del 2014

Il diritto di accesso riguarda anche la segnaletica stradale

07 Ago 2014
7 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1149 conferma che la conoscenza dei presupposti per l’installazione di alcuni segnali stradali, lungi dal comportare un controllo generalizzato sull’attività della P.A., radica un interesse diretto e qualificato del privato che viene tutelato con il diritto di accesso ai documenti amministrativi.

A tal proposito si legge che: “La richiesta del ricorrente, invero, attiene, non già ad una attività conoscitiva delle condizioni soggettive di terzi, ma è indirizzata esclusivamente alla completa acquisizione degli atti della procedura relativa alla apposizione della segnaletica su un’area privata, anche se tale attività è stata, successivamente, annullata in sede di autotutela

Invero, la p.a. avrebbe dovuto, nel caso di specie, attivare la procedura prevista dall’art. 3 del D.P.R. 12 aprile 2006, n.184, ma tale omissione, in disparte le eventuali responsabilità della resistente, non può certo impedire l’accesso agli atti richiesti non ravvisandosi, nella presente evenienza processuale, nessuno degli elementi ostativi previsti dall’art. 24 della L. 241/1990.

Non solo.

Dalla ricostruzione fattuale, non contestata dalla resistente, risulta che il ricorrente ha un interesse qualificato e differenziato alla conoscenza ed acquisizione dei documenti richiesti, tale da configurare tale reclamata evenienza come posizione giuridica soggettiva, che l’ordinamento tutela anche nella sua espressione meramente potenziale ( Cons.St., sez. V, 7 settembre 2004, n. 5873), il cui pregiudizio è in grado di dispiegare effetti, come nel caso di specie, negativi diretti e/o indiretti nei confronti dell’istante ( Cons. St., sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7486).

Per tali motivi il ricorso deve essere accolto e, contestualmente, deve essere ordinata l’esibizione dei documenti così come richiesti dal ricorrente”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1149 del 2014

La circolare mensile per l’impresa n. 8/2014

07 Ago 2014
7 Agosto 2014

Per gentile concessione della Società & Professionisti srl di Malo (VI), pubblichiamo la circolare mensile per l’impresa n. 8/2014.

Segnaliamo i chiarimenti ai Comuni sulla maggiorazione TASI (pag. 7-8) e le novità in tema di Sistri (pag. 16), il Conai (pag. 18), lo smaltimento delle apparecchiature RAEE (rifiuti da apparecchiature elettriche).

Circolare n. 8 del 04-08-2014

C’è l’obbligo di motivare anche il diniego all’accesso ai documenti amministrativi

06 Ago 2014
6 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 29 luglio 2014 n. 1084 chiarisce che anche il diniego all’accesso ai documenti amministrativi, ex art. 24 della L. n. 241/1990, deve essere motivato, seppur in maniera stringata: “Sul punto vi è da osservare che, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1173; id. 4 dicembre 2009, n. 7637), laddove non sia possibile rendere note, per ragioni di riservatezza, le risultanze dell’istruttoria, non può configurarsi un obbligo di motivazione da rendere nei termini di cui all’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ma è necessario, come contenuto minimo, una chiara indicazione, pur in termini ridotti all’essenziale, della ragione ostativa all’accoglimento della domanda, quantomeno con riferimento all’esistenza di fatti ed atti coperti dal segreto, che nel caso di specie è invece mancata, e a quei profili la cui divulgazione non sia tale da compromettere gli interessi preminenti di sicurezza dello Stato”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1084 del 2014

Come incide l’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto stipulato?

06 Ago 2014
6 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 31 luglio 2014 n. 1099 si sofferma sul rapporto esistente tra l’annullamento dell’aggiudicazione e la sorte del contratto medio tempore stipulato: “Parimenti, non è condivisibile l’affermazione in ordine alla impossibilità di disporre l’annullamento dell’aggiudicazione in presenza del recesso dal contratto: invero, premesso che l’annullamento dell’aggiudicazione è stato disposto con deliberazione n. 403 del 23.5.2012 e l’intenzione dell’Amministrazione di avvalersi del recesso è stata comunicata con nota prot. n. 39070 del 29.5.2012, quindi in un momento successivo, si rileva che la giurisprudenza ha ribadito, in tema di annullamento dell’aggiudicazione, che "...in virtù della stretta consequenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento giurisdizionale ovvero l’annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti" (Consiglio di Stato, Sez. III, 23 maggio 2013, n. 2802; id. Sez. V, 14 gennaio 2011, n. 11; id., 20 ottobre 2010, n. 7578). Pertanto, tra i due atti -aggiudicazione e contratto – sussiste un collegamento che ne determina la sorte comune, qualunque sia la sede dell’annullamento, illegittimità dichiarata dal giudice a seguito di ricorso, ovvero illegittimità o inopportunità conseguente all’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032). E’ stato, quindi rilevato che “La permanenza del vincolo contrattuale trova, quindi, la sua necessaria presupposizione nella corretta osservanza delle regole dell’evidenza pubblica, poste a presidio sia degli interessi di rilievo pubblico inerenti alla corretta gestione delle risorse economiche di cui l’ente dispone, sia delle imprese operanti nel segmento di mercato, che non devono subire pregiudizio o discriminazione quanto alla possibilità di accedere ai pubblici appalti” (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 9 ottobre 2013, n. 1378). Con gli artt. 121 e 122 del C.P.A., è stato attribuito al giudice amministrativo, in caso di annullamento giudiziale dell’aggiudicazione di una gara, il potere di decidere discrezionalmente se mantenere o meno l’efficacia del contratto medio tempore stipulato. Tale previsione si pone come innovazione rispetto alla logica sequenza procedimentale che vede la privazione degli effetti del contratto strettamente connessa all’annullamento dell’aggiudicazione (Consiglio di Stato, Sez. III, 19 dicembre 2011, n. 6638). La caducazione del contratto stipulato a seguito dell’aggiudicazione poi annullata costituisce, quindi, in via generale, la conseguenza necessitata dell’annullamento: di tale conseguenza l’art. 122 del Codice del processo amministrativo costituisce una deroga, imperniata sulle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele ai fini della loro effettività (in tal senso TAR Puglia, Bari cit.)” ed ancora: “E’ stato più volte chiarito che, in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica, l’intervenuta aggiudicazione definitiva e la conseguente stipulazione del contratto non costituiscono ostacolo insormontabile al potere di annullamento dei medesimi da parte dell’Amministrazione in presenza di un preciso e concreto interesse pubblico, della ponderazione degli interessi in conflitto e di tutte le garanzie procedimentali spettanti all’interessato (per tutte Consiglio di Stato, Sez. V, 14 ottobre 2013, n. 4999); una volta accertata la sussistenza delle garanzie procedimentali, è evidente, dunque, che la verifica in ordine alla legittimità dell’autotutela esercitata dall’Amministrazione si sposta sull’esame delle ragioni poste a fondamento del provvedimento di ritiro”.

Nella medesima sentenza n. 1099/2014 i Giudici si soffermano anche sulla comunicazione di avvio del procedimento: “E’ noto che l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ex artt. 7 e ss., legge 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, quindi, di partecipazione all’azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l’atto amministrativo è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento, completando con il proprio apporto l’istruttoria amministrativa. Pertanto, il principio di democraticità del procedimento amministrativo, cui sono preordinate le ricordate disposizioni normative, ed il conseguente rispetto delle garanzie partecipative devono essere assicurati nella sostanza e non già nella mera forma, con la conseguenza che ogni qualvolta l’interessato sia stato informato dell’esistenza di un procedimento diretto ad incidere sulla propria sfera giuridica e sia stato messo in condizione di utilmente rappresentare le proprie osservazioni e deduzioni, che integrano la partecipazione procedimentale, non può ritenersi violato alcun canone del giusto procedimento (per tutte Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4764)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1099 del 2014

Il TAR Lombardia disapplica l’obbligo di pagare una cauzione per ottenere una misura cautelare

06 Ago 2014
6 Agosto 2014

Il T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, nell’ordinanza del 30 luglio 2014 n. 1070 dichiara in contrasto con le direttive comunitarie in matteria di appalti l’art. 120, c. 8 bis del c.p.a – introdotto con l’art. 40, comma 1, lettera b), decreto-legge n. 90 del 2014 - secondo cui: “Il collegio, quando dispone le misure cautelari di cui al comma 4 dell'articolo 119, ne subordina l'efficacia alla prestazione; anche mediante fideiussione, di una cauzione, salvo che ricorrano gravi ed eccezionali ragioni specificamente indicate nella motivazione dell'ordinanza che concede la misura cautelare. Tali misure sono disposte per una data non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa ordinanza, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo 119”.

Nello specifico si legge che: “Ritenuta l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione di una cauzione, in quanto l’art. 40, comma 1 lett. b), del d.l. n. 90/2014 deve essere disapplicato per incompatibilità comunitaria, nella parte in cui stabilisce l’obbligo di subordinare necessariamente l’efficacia della misura cautelare alla prestazione di una cauzione, atteso che tale previsione risulta contrastante con gli artt. 1 e 2 della direttiva comunitaria 2007, n. 66, che impongono agli Stati membri l’adozione di misure idonee a garantire, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, procedure di ricorso accessibili ed efficaci, senza alcuna discriminazione tra i vari operatori in dipendenza della loro diversa capacità finanziaria”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Lombardia n. 1070 del 2014

I trasporti a fune in zona montana per finalità turistiche sono assimilabili ai pubblici servizi: conseguenze processuali

05 Ago 2014
5 Agosto 2014

Segnaliamo su questa questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 3989 del 2014. 

Scrive il Consiglio di Stato: "Ciò posto, non v’è dubbio come il contenzioso attenga all'affidamento di una concessione di pubblico servizio. Infatti, l'esercizio degli impianti funiviari necessita non soltanto di un titolo abilitativo a costruire la struttura, ma anche di una specifica concessione amministrativa, costituendo l'attività di trasporto un pubblico servizio. La circostanza invero non è controvertibile, sol che si consideri come: - la stessa determinazione impugnata n. 2099/2012 espressamente dispone il rilascio alla Pordoi della “concessione di linea per la seggiovia……. Ponte Vauz-La Viza ..” ai sensi della Legge Regionale Veneto n. 21 del 2008; - la richiamata legge regionale, di cui viene lamentata nella specie l'erronea applicazione, attiene espressamente alla “disciplina degli impianti a fune adibiti a servizio pubblico di trasporto”, il cui esercizio è subordinato al rilascio di “una concessione di linea da parte della Provincia”; - l'articolo 113, comma 2 bis, del d.lgs. n. 267/2000, nell'esentare gli “impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico- sportiva eserciti in aree montane” dall'osservanza delle modalità ivi stabilite per la gestione delle reti dei servizi pubblici locali, conferma espressamente la loro appartenenza a tale genus. Non v'è dubbio, quindi, come l'odierno giudizio rientri nella casistica di cui all'articolo 119, comma 1, lettera a) del codice del processo amministrativo, avendo ad oggetto una controversia relativa ai “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture”. Infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza anche di questa Sezione, il termine “affidamento di servizi” usato dal legislatore deve senz'altro intendersi come riferito sia agli appalti che alle concessioni di pubblico servizio, per chiare ragioni testuali e sistematiche. Testuali, in quanto la norma considera in modo unitario la procedura di affidamento, senza operare alcuna distinzione tra appalti e concessioni di pubblici servizi. Sistematiche, in quanto una disciplina differenziata dei due istituti si porrebbe in palese contrasto con le finalità perseguite dal legislatore, volte ad assicurare la massima speditezza nell'intera materia degli affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture, senza distinzione di sorta (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. V, 12 febbraio 2013,n. 811).   Nella specie, pertanto, si imponeva il rispetto del rito abbreviato disposto dal richiamato articolo 119, comma 2, del c. p. a., con conseguente onere di notifica dell'odierno appello nel termine dimidiato ivi previsto. Sennonché la Sofma, a fronte del deposito della sentenza del Tar Veneto in data 15 febbraio 2013, non ha gravato la stessa nel termine perentorio del successivo15 maggio (ossia nel trimestre successivo al deposito, non essendo intervenuta la notifica personale), ma solo nel mese di luglio 2013 e, quindi, in modo del tutto tardivo".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 3989 del 2014

Avverso una SCIA i terzi possono esperire in via esclusiva l’azione in materia di silenzio

05 Ago 2014
5 Agosto 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 919 del 2014 precisa che è inammissibile l'impugnazione in via diretta di una SCIA:  

"1. E’ in primo luogo da accogliere l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione proposta avverso la Scia del 31/07/2013 e, ciò considerando come con i motivi aggiunti parte ricorrente ha proposto un’azione diretta ad ottenere l’annullamento della stessa Scia in violazione della disciplina attualmente vigente.

1.1 Come correttamente evidenzia l’Amministrazione comunale, a seguito dell’introduzione del comma 6 ter dell’art. 19 della L. n. 241/90 e da parte del D.L. 138/2011, il Legislatore ha avuto modo di chiarire che la Segnalazione certificata di inizio di attività si riferisce ad un’attività liberalizzata, nell’ambito della quale gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione, e in caso d’inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31 commi 1, 2 e 3 del D. Lgs. 104/2010.

1.2 Anche questo Tribunale (T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 11-04-2013, n. 535) ha avuto modo di precisare, analogamente alla giurisprudenza in precedenza formatasi (Cons. Stato Sez. IV, 23-02-2012, n. 984), che “detta ultima disciplina legislativa ha, pertanto, previsto che la tutela della posizione giuridica soggettiva del terzo, a seguito del deposito di una DIA (ora SCIA) ritenuta lesiva, debba comportare l'esperimento "in via esclusiva", dell'azione in materia di silenzio e di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104..,”.

1.3 Ne consegue che avendo le ricorrenti posto in essere un’azione diretta all’annullamento della Scia del 31/07/2013, è evidente come detta azione sia stata proposta in violazione delle disposizioni legislative sopra citate, circostanza che non può non determinare l’inammissibilità in parte qua del ricorso e ai sensi di quanto previsto dall’art. 35 comma 1 lett. B) del Codice del Processo Amministrativo.

2. Per le stesse ragioni è inammissibile la domanda di condanna dell’Amministrazione affinchè quest’ultima adotti i provvedimenti inibitori dell’attività oggetto della Scia e, ciò, considerando come il disposto legislativo di cui all’art. 19 comma 6 della L. n. 241/90 ha previsto, con l’introduzione del termine “esclusivamente”, che l’unica azione esperibile sia quella del “silenzio” e, ciò, avverso il ,comportamento inerte dell’Amministrazione successivo alla presentazione di un’istanza di autotutela".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 919 del 2014

Cosa accade al ricorso se dopo di esso viene presentata una domanda di sanatoria ex art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001

05 Ago 2014
5 Agosto 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 924 del 2014. Scrive il TAR: "Il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse ai sensi di quanto previsto dall’art. 35 comma 1 lett. c) del Codice del Processo Amministrativo. Sul punto va confermato quanto disposto da un consolidato orientamento giurisprudenziale, nella parte in cui ha rilevato che la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001, successivamente all'impugnazione dell'ordine di demolizione, produce l'effetto di rendere improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse. E’, infatti, del tutto evidente che il riesame dell'abusività dell'opera, provocato dall'istanza di sanatoria, determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento di accoglimento o di rigetto che vale comunque a rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio oggetto  dell'originario ricorso (T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, 13-02-2014, n. 133). Nel caso di specie detta circostanza, così come l’adesione all’orientamento sopra citato, era stata già rilevata dallo stesso ricorrente nel momento di presentazione del ricorso principale. L’Amministrazione comunale, a sua volta e nel costituirsi, ha evidenziato come il provvedimento di diniego di compatibilità paesaggistica era stato successivamente impugnato con la presentazione due differenti ricorsi, entrambi pendenti presso Tribunale. Ne consegue che sulla base delle circostanze sopra citate il ricorso ora sottoposto all’esame del presente Collegio va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 924 del 2014

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